Luca, cosa pensi del messaggio: “lo sci da discesa è l’unico in grado di salvare la montagna?”
Non sono d’accordo. Lo sci deve affiancare un utilizzo della montagna quatre saisons, come continuano a ripetere da decenni gli istituti di ricerca sul futuro alpino, dalla Francia alla Slovenia. Avendo dinnanzi uno scenario di forte cambiamento climatico, investire ancora sullo sci di discesa è una scelta perdente. E parlo da sciatore, io sono favorevole allo sci, e penso che bisognerebbe mantenere gli impianti dove ci sono, ma non promuoverne un’ulteriore espansione, coscienti del fatto che sotto i 2000 metri è probabile si andrà a ridurre enormemente il periodo utile di innevamento, e che anche al di sopra dei 2000 non sarà solo più quello a far vivere la montagna, lo sci non può più essere vissuto come una monocultura.

La mancata apertura a causa dell’emergenza Covid 19 sarà il colpo di grazia per il settore dello sci?
Queste non sono cose a cui possa risponde il climatologo, ci vorrebbe un commercialista, perché ognuno i propri conti se li starà facendo a casa sua. E’ chiaro che un fermo di un inverno, che sia per la mancata neve, che sia per la pandemia, ad alcune strutture border line bene non fa, e questo ti prova ulteriormente che non è vero che lo sci fa stare in piedi la montagna. In tali situazioni di difficoltà io proporrei piuttosto di fare un calcolo: quanti soldi procapite arrivano dalle attività legate allo sci in una stazione di montagna? Mettiamo per ipotesi che lo Stato investa 500 euro procapite all’anno, ma a questo punto se lo sci non funziona più come ammortizzatore sociale, si può scegliere di continuare a dare 500 euro a testa alle persone coinvolte per fare altre cose. Invece di impiegare denaro pubblico per fare impianti di innevamento artificiale, nuovi sbancamenti, e altre attività che creano da un lato un danno ambientale e dall’altro non assicurano un futuro al territorio, perché non costruiscono più ricchezza, si può decidere di dare lo stesso supporto per fare investimenti a lungo termine che abbiano una ricaduta più concreta, come ristrutturare i vecchi borghi, rivitalizzare l’artigianato e l’agricoltura di qualità, il turismo enogastronomico, il patrimonio culturale.

Le stazioni sotto i 2000 metri su cosa devono puntare?
L’estate, per quanto riguarda la frequentazione della montagna, deve prendere il sopravvento sull’inverno, compensando in parte o in tutto la riduzione dell’innevamento. Sarà una grande chance per tutta la montagna, non solo quella con le stazioni sciistiche, perché il fresco in alto ce l’hai ovunque. Il cambiamento climatico nei prossimi anni porterà una maggiore frequentazione della montagna nel periodo estivo, come fuga dalle città infuocate della pianura, fenomeno che stiamo già vedendo oggi. E non solo come frequentazione turistica di breve periodo ma pure come opportunità di residenza a lungo termine, resa possibile dal telelavoro.
E infine chi ha detto che in inverno non possiamo godere della montagna anche senza sci? Bisogna creare una cultura della montagna che apprezzi l’escursione con le ciaspole o anche a piedi se non c’è neve, dove l’obiettivo non sia il mero agonismo sportivo ma l’apprezzamento del paesaggio, la conoscenza del territorio, delle tradizioni, dell’architettura locale, il tempo lento del relax, del benessere, del convivio, attività culturali tutte da costruire e non necessariamente basate sui grandi numeri delle folle.

Una stazione sciistica come Cervinia quanto ha ancora di buono?
E’ ovviamente una di quelle che ne ha di più, perché arriva fino a 3500, 3800 metri, fino al Piccolo Cervino, saranno le ultime quote a risentire del calo della neve. A Cervinia darei tranquillamente ancora mezzo secolo. Certo perderà lo sci estivo, e questo è quasi sicuro, perché il caldo non permetterà di mantenere il ghiacciaio in condizione di essere sciabile.
Gli anni di abbondanti nevicate ci saranno ancora, ma è la frequenza, è quella condizione di fattori che ti rende una stazione remunerativa, perché ha una continuità certa da novembre a maggio, che verrà meno. Ci sarà l’anno buono e quello che comincerà solo dopo Natale e terminerà a marzo. Tutto diventa più frammentario e intermittente, perché le Alpi si stanno “appenninizzando”. In Appennino hanno un modello diverso di gestione degli impianti, eppure vanno avanti lo stesso. Fanno turismo a chiamata. Oggi con i nuovi mezzi di comunicazione non è difficile: hai una previsione meteo a una settimana di anticipo, e se sai che nel weekend arriva un metro di neve, chiamerai tutti su. Ci si gode una settimana di belle sciate e quando arriva lo scirocco si scende.
E’ chiaro che oggi i modelli delle Alpi sono diversi, però bisogna cambiarli, perché è molto più facile cambiare i modelli gestionali che cambiare le leggi di natura. Capisco anche che chi campa su questi modelli gestionali oggi fa resistenza, preferirebbe mantenere tutto com’è. E l’attuale modello per un po’ può ancora andare, ma alla lunga non funzionerà più, per questo conviene prepararsi.
Maurizio Dematteis