La riduzione delle emissioni di CO2 indotta dalla pandemia Covid è una buona notizia per il clima planetario, ma è poca cosa per invertire un trend che sembra essere ormai fuori controllo. La situazione dei ghiacciai, i più fedeli termometri dell’andamento climatico nel breve termine, lo conferma: le misurazioni annuali al ghiacciaio della Marmolada condotte da geografi e glaciologi dell’Università di Padova tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti. La drammaticità della situazione attuale emerge con maggiore nitidezza se messa a confronto con gli oltre cent’anni di misurazioni condotte dall’Università di Padova a partire da Giovanni Marinelli, uno dei pionieri della geografia italiana. Studi e ricerche che fanno della Marmolada uno dei ghiacciai più studiati dell’arco alpino.
Il ghiacciaio negli ultimi 70 anni ha ormai perso oltre l’80% del proprio volume passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali, secondo le rilevazioni di Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto e autore assieme a Roberto Francese dell’Università di Parma di indagini recenti sullo spessore del ghiaccio. Secondo queste misure le previsioni di una sua estinzione si avvicinano sempre di più: il ghiacciaio potrebbe avere non più di 15 anni di vita. Questa triste prognosi sembra confermata da altri studi condotti negli ultimi 15 anni da Mauro Varotto e Francesco Ferrarese sulle variazioni frontali e sulla superficie del ghiacciaio, che è passata dai circa 500 ettari stimati da Richter nel 1888 ai 123 ettari del 2018. Dal 2010 al 2020 la fronte è arretrata in media di 10 metri l’anno sui 9 segnali di misura. Estendendo il trend di riduzione di superficie degli ultimi 100 anni (3 ha/anno), la fine del ghiacciaio sarebbe fissata al 2060; ma se consideriamo il trend di contrazione degli ultimi 10 anni (5 ha/anno), la fine verrebbe anticipata al 2045; ma il trend degli ultimi 3 anni è ancora più allarmante (9 ha/anno) e potrebbe portare alla scomparsa di buona parte del ghiacciaio già nel 2031.
A fronte di questi dati drammatici a poco o a nulla servono le coperture geotessili di circa 45.000 mq stese nel periodo estivo lungo la pista da sci di Serauta. I teli non salvano il ghiacciaio, come una semplificata informazione giornalistica spesso lascia sperare: servono a mala pena a preservare la copertura nevosa per la pista da sci. A questo proposito, Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza Aziendale all’Università di Padova, solleva alcuni interrogativi sulla sostenibilità dell’industria dello sci che a causa dei cambiamenti climatici è sempre più povera di neve, confinata a quote sempre più alte e dipendente da fondi pubblici per l’innevamento artificiale sempre più ingenti. Ogni ettaro di pista innevata artificialmente richiede 4000 mc d’acqua, costa 140.000 euro e richiede enormi invasi artificiali per lo stoccaggio dell’acqua. Al di là della infinita polemica politica sul confine della Marmolada, sono i confini della sostenibilità che sono stati da tempo varcati sia sul versante bellunese che su quello trentino: l’industria dello sci e tutto il suo indotto (non diversamente da molte altre attività umane energivore) è corresponsabile dell’aumento dell’impronta carbonica planetaria che in ultima analisi si riverbera sulla fusione dei ghiacciai. Serve dunque una diversa sensibilità per avviare l’adozione di comportamenti virtuosi oltre l’effimera e inefficace panacea di qualche telo estivo. L’Università ha deciso di giocare la sua parte unendo efficacemente ricerca, didattica e coinvolgimento sociale: per far conoscere le proprie attività di ricerca e sensibilizzare la cittadinanza sui drammatici effetti del cambiamento climatico, il Museo di Geografia dell’Università di Padova dal 2019 ha lanciato l’iniziativa “Misuriamo assieme il ghiacciaio della Marmolada”, una campagna glaciologica partecipata giunta quest’anno (2020) alla seconda edizione e inserita all’interno della più ampia iniziativa “Carovana dei Ghiacciai” organizzata da Legambiente. Circa 40 persone dalle valli vicine alla Marmolada, da Padova, Mantova, Milano e Torino hanno partecipato alle misure e toccato con mano gli effetti del cambiamento climatico in un contesto tanto fragile quanto ricco di spunti di riflessione anche sui modelli di sviluppo e gestione del territorio. Molti dei partecipanti hanno deciso che non torneranno a sciare sulla Marmolada il prossimo inverno.
Mauro Varotto