Il saggio di Oscar Gaspari è un racconto interpretativo molto ben documentato del modo con cui la montagna italiana è stata vista e trattata da politici ed esperti a partire dai primi del Novecento. Il discorso è centrato sul vecchio concetto di bonifica integrale, nato all’inizio del secolo scorso, fatto proprio dalla politica agraria fascista, censurato nel dopoguerra e di recente riscoperto sotto altri nomi dalle politiche di sviluppo e coesione rivolte a rendere i territori montani abitabili, produttivi e sicuri. Un tornante decisivo di questa storia è quello della formulazione dell’art. 44 della Costituzione, dove l’aggettivo “integrale”, riferito alla bonifica, venne cancellato, presumibilmente perché era stato un cavallo di battaglia della propaganda mussoliniana. In questo modo però, ci fa notare Gaspari, veniva meno lo stretto rapporto tra le due parti dell’articolo 44, come se i “provvedimenti a favore della montagna” del secondo comma fossero l’unico disposto riguardante la montagna e come se  il “razionale sfruttamento del suolo”, “la bonifica delle terre” e quanto prescritto nel primo comma non si riferissero anche alla necessità di intervenire sulle condizioni produttive della montagna stessa. Equivoco gravissimo, perché ha favorito e  giustificato la successiva visione della montagna come territorio handicappato, inaugurando così la stagione delle politiche assistenzialiste  che la equiparavano ad altri territori svantaggiati, ai quali  infatti venne poi estesa l’applicazione delle leggi per la montagna.
Seguendo la dettagliata analisi storica di Gaspari veniamo a sapere che il dibattito su lasciare che la montagna si spopoli oppure riabitarla ha attraversato tutto il secolo scorso prima e dopo la parentesi fascista, coinvolgendo non solo tecnici ed economisti famosi come Arrigo Serpieri e Manlio Rossi-Doria, ma anche politici di primo piano come Franceso Saverio Nitti, Luigi Sturzo, Filippo Turati, Angelo Omodeo, Giuseppe Medici e Palmiro Togliatti.

Si va da un’idea di montagna come serbatoio di risorse forestali e di energia idroelettrica (Nitti, Turati), a visioni un po’ più aperte, ma fondamentalmente pessimistiche, favorevoli a “un certo spopolamento della montagna” (Rossi-Doria), fino a quelle del Segretariato per la Montagna (Sturzo, Serpieri) che nel secondo dopoguerra puntava a uno sviluppo agro-silvo-pastorale,  alla promozione degli usi civici collettivi e che raccomandava di non dimenticare “le strette correlazioni esistenti tra bonifica del piano e quella del monte”. Rimane allora da capire perché questa visione propria di autorevoli esponenti del mondo cattolico e della Dc (come Giuseppe Medici che negli anni del “miracolo economico” fu a più riprese ministro) non si sia tradotta in nessuna politica capace di creare in quegli anni qualche alternativa all’esodo massiccio e all’abbandono delle terre.
Infine devo segnalare un altro aspetto fondamentale di questa storia, tuttora di grande rilievo, quello relativo al Sud dell’“osso” e della “polpa”, dove la questione montana si intreccia con la più generale questione meridionale, generando problemi specifici, diversi e più gravi rispetto a quelli delle montagne centro-settentrionali
Giuseppe Dematteis

Art. 44 Costituzione _ Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata [c.c. 840], fissa limiti alla sua estensione [c.c. 846] secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre [c.c. 857], la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà(1).
La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane(1)