Mi chiamo @Sara Maino e aderisco volentieri a questa iniziativa inviando un disegno realizzato da me nel mese di marzo 2020. Non vivo propriamente in “montagna”, ma in un paesino alle pendici di Monte Velo, nel Comune di Arco, a 140 mt slm.
A Monte Velo sono molto legata perché vi ho trascorso tutta la mia infanzia. E lassù, a metri mille, ancora mi reco per stare bene: lì ritrovo lo sguardo che si apre verso le catene delle Dolomiti Occidentali, respiro meglio, la mente si distende. Non potendomi muovere, come tutti, in questo periodo, io quella visione me la sono immaginata.
E l’ho trasferita in questo disegno, che ho creato con petali di fiori primaverili, carboncini ritrovati tra gli ulivi, nelle brevi passeggiate consentite nelle vicinanze della mia abitazione. A me questo tempo ha regalato la scoperta di una nuova risorsa interiore: il disegno, che continuo a praticare quotidianamente.
«Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore, per correre più veloci domani. Tutti insieme ce la faremo», l’11 marzo scorso il premier Conte concludeva così il suo discorso annunciando la “Grande Reclusione”. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), lo stesso giorno, dichiarava ufficialmente il COVID-19 una pandemia. La soluzione? Il distanziamento fisico. Il motto? #iorestoacasa!
Il contagio è apparso imparziale, ma il virus si è mostrato fazioso in base ai territori in cui si è diffuso, generando effetti diversi in ciascuno di questi. In pochi giorni le città si sono rivelate i principali focolai della pandemia, mentre le aree interne e montante si sono mostrate come luoghi adeguati a garantire la salubrità pubblica. L’immobilità residenziale e il distanziamento fisico hanno fatto nascere profonde riflessioni sull’abitare i luoghi urbani e sul ri-abitare quei luoghi che per anni sono stati relegati ai margini dei dibattiti e delle politiche pubbliche e che, anche per questo, sono stati progressivamente abbandonati. Così, d’un tratto, la “sospensione domestica” sembra aver cambiato la percezione comune dello spazio e creato i presupposti per la costruzione di nuovi immaginari non solamente abitativi, ma soprattutto di vita. La bassa densità di popolazione, la possibilità di vivere a contatto con la natura, di accedere e riscoprire economie di prossimità e filiere corte, ovvero la presenza di vuoti spaziali, economici e culturali, sono divenuti elementi che nel contesto pandemico hanno aumentato il fascino delle aree montane e marginali, facendole diventare meta e sogno di rifugio per molti.
Allora ci siamo chiesti: chi e come vengono descritti i contorni dell’immaginario montano? Qual è il modo in cui si è parlato di queste aree durante il lock down? Da una parte, chi scriveva dai contesti urbani titolava “Via dalle città, nei vecchi borghi c’è il nostro futuro”, restituendo un’immagine salvifica e romantica allo stesso tempo delle aree marginali; dall’altra, chi vive o si occupa da anni di questi territori ha colto l’occasione per costruire alleanze, rimettere al centro del dibattito il rapporto sbilanciato tra pianura e montagna, centro e periferia, ponendo le basi per una riflessione sul ruolo da attribuire alla montagna e alle aree interne al di là del coronavirus. Così i margini sono tornati al centro del dibattito pubblico e mostrano adesso tutto il loro potenziale innovativo, prima sconosciuto ai molti, per lo sviluppo sostenibile dell’intero Paese.
In questi mesi si sono moltiplicati i contenuti dedicati alla montagna, tra questi quello di due giovani è diventato virale. Luca è uno dei gestori del rifugio Paraloup in valle Stura (provincia di Cuneo), Simone è un fotografo. Durante il lockdown insieme hanno creato un video denso di parole e immagini per condividere col mondo un’emozionante riflessione sulla montagna. Luca ci ricorda che «La montagna è la gente che la vive ogni giorno». Riprendendo questa affermazione, nell’ambito del progetto Montagne Vitali, abbiamo lanciato l’iniziativa #IoRestoInMontagna: un diario digitale e collettivo rivolto proprio a chi la abita, a chi la fa vivere, a chi ha scelto la montagna per trascorrere la propria quotidianità durante la quarantena. L’idea è quella di dare (o restituire) voce a questi territori che sono spesso descritti senza essere ascoltati, allo scopo di acquisire una prospettiva diversa da quella urbano centrica attraverso cui troppo spesso vengono raccontate e viste le terre alte.
Abbiamo lasciato spazio alle persone che ne rappresentano l’essenza, chiedendo ai partecipanti al progetto (e non solo) di raccontarci quali sono state le principali difficoltà, ma anche i piccoli vantaggi che chi vive in montagna ha potuto godere durante questo periodo del tutto eccezionale. Qui alcuni stralci del nostro diario:
«La cosa più bella, sembra banale, è la natura e il contatto con essa. La stupenda stagione che è la primavera, anche con qualche suo capriccio di vento o di pioggia, ti tiene vivo, attivo e ti motiva ad andare avanti, ma anche al godere dell’oggi e di tutte le cose nuove che rinascono ogni giorno»
«Avere un piccolo negozio e una farmacia a due passi da casa. Nella mia comunità ci sono anche piccole aziende che portano a casa i loro prodotti»
«Apro la finestra e davanti vedo solo montagne, verde e natura. Sentire il ruscello che scorre sotto casa e mi tranquillizza, vedere gli animali. Tutto scorre. So che in città si sentono continuamente ambulanze ».
«Il volontariato, lo spirito imprenditoriale nonostante la quasi assenza di aiuti, la vista dalla mia finestra che ho più tempo di ammirare»
Giulia Cutello
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