Le restrizioni alla mobilità individuale dovute all’emergenza Covid-19 hanno costretto molti di noi a riscoprire la dimensione della prossimità fisica nella maggior parte delle attività quotidiane, che devono essere svolte il più vicino possibile a casa.
Nelle aree più densamente popolate del paese, la necessità di cambiare la scala delle geografie quotidiane di ogni cittadino e cittadina ha portato, oltre a inevitabili disagi, anche a una riscoperta della dimensione di vicinato e a una riflessione più ampia sulla mobilità all’interno delle aree urbane.
Nelle aree interne, invece, le restrizioni alla mobilità hanno reso ancora più evidente un’informazione già ben nota a chi ci vive e a chi le frequenta: in molti comuni di collina e montagna i servizi essenziali sono completamente assenti. Questo vale anche per il servizio probabilmente più importante e a cui è stata dedicata la maggiore attenzione da parte di tutti noi, da quando le nostre vite sono state temporaneamente (si spera) stravolte dalla pandemia in corso: l’acquisto di cibo.
Una rapida analisi della distribuzione di esercizi commerciali (negozi, supermercati e mercati) che vendono prodotti alimentari nei 1.181 comuni piemontesi, mostra infatti come siano ben 107 le realtà sul cui territorio comunale non è presente neanche un punto di vendita di cibo e 185 quelle in cui ce n’è uno solo. Fatta eccezione per alcune realtà collinari (nel Monferrato, nelle Langhe e sulle Colline Tortonesi) e della pianura più isolata del Vercellese e dell’Alessandrino, la grande maggioranza di queste si concentra in ambito montano: dall’Alta Langa alle valli dell’Ossola, passando praticamente per tutte le vallate alpine Cuneesi e Torinesi, per le Alpi Biellesi e per la Valsesia. Gli abitanti di questi comuni, caratterizzati da età media superiore alla media regionale e reddito pro-capite inferiore, sono spesso obbligati a spostarsi per diversi chilometri, lungo strade non sempre agevoli, per raggiungere i negozi di alimentari o i mercati più vicini.
Comuni privi di punti di vendita ci cibo (negozi, mercati, supermercati) in Piemonte (Fonte: CCIAA, Regione Piemonte 2019. Elaborazione: Giacomo Pettenati).
La situazione assume un carattere ancora più negativo se si considera l’apertura solo stagionale dei negozi dei comuni più turistici e la discrepanza tra il dato, su base comunale, e la realtà di territori in cui i comuni sono spesso composti da decine di frazioni e borgate sparse sui versanti, solo una minima parte delle quali dotate dei servizi di base.
Nel dibattito internazionale, soprattutto nordamericano, si parla di deserti alimentari (food desert), per descrivere i quartieri urbani i cui abitanti hanno un accesso al cibo limitato, dovuto alla poca disponibilità di luoghi in cui si vendono prodotti alimentari (soprattutto freschi) e alla scarsa mobilità dei residenti, legata a ragioni economiche, sanitarie o culturali. Senza scomodare paragoni poco sensati tra i quartieri più poveri di Detroit o Baltimora e piccoli comuni d’alta quota, come Rassa (Valsesia), Salza di Pinerolo o Pezzolo Valle Uzzone (Alta Langa), non sembra fuori luogo però chiedersi se si possa parlare di deserti alimentari di montagna, riferendosi a realtà in cui si è obbligati a fare chilometri di curve anche solo per comprare il pane.
Si tratta di un problema noto, che da decenni caratterizza molte delle vallate più colpite dallo spopolamento e che già in tempi non sospetti ha portato i loro abitanti a escogitare soluzioni che oggi sarebbero celebrate come innovative e perfino “smart”.
«A Massello l’ultimo negozio di alimentari ha chiuso almeno 40 anni fa e da allora per comprare da mangiare bisogna andare fino a Perrero (a 7 km ndr)», racconta per esempio Nino Chiadò, dal 2011 al 2016 sindaco del piccolissimo comune della Val Germanasca, «Fino a qualche decennio fa, però, i commercianti di Perrero consegnavano la spesa a domicilio in molte delle frazioni di Massello e spesso a raccogliere le ordinazioni erano gli stessi postini, che passavano da tutte le borgate per consegnare le lettere».
Un esempio di servizio multifunzionale integrato, come lo chiameremmo oggi, messo da parte dalla trasformazione delle abitudini d’acquisto, anche di chi vive in montagna e dalla consuetudine a fare la spesa nei più economici supermercati di bassa valle, approfittando degli spostamenti sempre più frequenti per lavoro o per commissioni.
In Valle Uzzone, Alta Langa, è invece la Protezione Civile a fare la spesa per alcuni anziani che, da quando è esplosa la pandemia, hanno difficoltà a uscire di casa in un periodo in cui la loro fragilità emerge con una forza più evidente che mai: «Abbiamo attivato questo servizio su stimolo del comune di Cortemilia e hanno aderito alcuni cittadini di diversi comuni della valle, in alcuni dei quali i negozi di alimentari non sono presenti», spiega Elena Leonardi, presidente dell’Associazione Protezione Civile Cortemilia e Valli. In Alta Langa sono molti i comuni completamente privi di esercizi commerciali e in alcuni di questi esistono servizi, spesso informali, che portano la spesa ai cittadini per i quali spostarsi in auto fino ai negozi più vicini è un problema, soprattutto nei mesi invernali.
L’importanza dei piccoli negozi di paese come luoghi di socialità e presidi dei servizi di base sul territorio è cresciuta in questo periodo di mobilità limitata: «La nostra attività principale è la produzione e la vendita di pane e dolci, ma abbiamo sempre dedicato una piccola parte del negozio a prodotti alimentari di vario tipo, per offrire un servizio al paese», racconta Arianna Cerrato, che gestisce insieme ai genitori uno dei pochissimi negozi di Castelletto Uzzone; «nelle prime settimane dell’emergenza la quantità di persone che venivano da noi a fare la spesa è aumentata moltissimo e ci siamo accorti dell’importanza che un piccolo negozio come il nostro può avere, anche come luogo d’incontro. Purtroppo da qualche giorno i flussi sono già diminuiti, probabilmente perché le persone hanno avuto il permesso di andare a fare la spesa nei supermercati, che ovviamente costano meno».
Questa constatazione sposta inevitabilmente l’accento sul solito tema dei costi elevati e della scarsa competitività dell’economia e del commercio di montagna rispetto alle economie di grande scala delle pianure e delle città vicine. Nonostante gli sforzi di sensibilizzazione sull’importanza del comprare nelle piccole botteghe di montagna, portati avanti da anni per esempio da Uncem, con la campagna “Compra in valle”, le differenze dei prezzi sono spesso troppo rilevanti per rendere davvero i negozi di paese la scelta principale dei consumatori per le proprie spese di base.
Se si considera però che l’accesso al cibo è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano (articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) e si immagina che esso debba essere uno dei servizi essenziali messi a disposizione di ogni cittadino, compresi coloro che vivono nei comuni più remoti delle nostre montagne, allora perché non immaginare politiche per la montagna che considerino la presenza di negozi di alimentari non come una conseguenza possibile delle logiche del mercato, ma come un elemento del “diritto alla montagna”, ovvero del diritto di ogni cittadino e cittadina di vivere nelle terre alte, usufruendo degli stessi servizi essenziali che sono a disposizione di chi vive in altri territori?
Giacomo Pettenati