7-8-9 marzo sono giorni che lasceranno un segno forte nella storia dei territori montani di questo Paese. Sono i giorni dell’ultimo weekend di libertà, se così vogliamo dire, sulle piste dei grandi caroselli sciistici. Il 9 marzo si chiudono in emergenza gli impianti sciistici in tutto l’arco alpino. L’emergenza Covid-19 è già in atto e la montagna diventa simbolo della fuga dalla città, dalle preoccupazioni, dai pensieri e dai rischi reali e percepiti. La montagna in quei giorni assume appieno l’immagine del luogo sano e pulito, del luogo isolato e fuori dai rischi di contaminazione della città, del luogo della spensieratezza e della leggerezza. La seconda casa e la giornata trascorsa con gli amici sui campi da sci diventano un rifugio. Ma, come in tutte le fughe, arriva il finale con il ritorno alla realtà, che in questo caso significa il ritorno a casa, alla propria residenza, Milano, Torino… E qui il lieto fine non c’è e non ci sarà.
Si tratta infatti di aspettare alcuni giorni ed ecco che quel mondo delle fiabe si ritrova a fare i conti con le dinamiche reali: lavoratori stagionali che vedono interrompere il proprio lavoro e tornare velocemente nella propria regione di residenza, chiusura degli impianti e degli esercizi ricettivi e commerciali, ma soprattutto, fatto triste e grave, iniziano a salire i numeri dei contagi.
Se la Val Gardena si trova così a precipitare in una situazione pesante di contagi che stravolge l’intera comunità aprendo ad una riflessione sulle strade percorse in questo ultimo mezzo secolo, anche le altre montagne meno afflitte dal contagio non possono fare diversamente.
Il sindaco di Bardonecchia Francesco Avato dichiara: «In quella data limite il rischio è stato alto, un rischio potenzialmente molto alto», anche se poi i numeri a Bardonecchia sono rimasti fortunatamente contenuti come nel resto dell’alta Valle di Susa e nel comprensorio della Via Lattea. Ma è chiaro che serve una riflessione soprattutto in vista dell’estate. In tal senso, il sindaco sostiene giustamente l’urgente necessità a prepararsi alla fase 2 e soprattutto al momento della riapertura, che per le montagne significa riattivare i legami città-montagna in termini di afflusso di turisti. Avato e il suo entourage sono già al lavoro per predisporre il piano “Bardo si-cura”. Un piano che mette al centro il tema della sicurezza e quello della logistica, dai servizi alle persone a quelli alle aziende, dall’implementazione dei servizi a domicilio per i residenti, all’utilizzo degli spazi all’aperto per iniziative rivolte alla collettività, con progetti di “cultura sotto le stelle” per la futura stagione estiva di Bardonecchia.
Mai come oggi ci troviamo davanti il dato di realtà, che nessun evento in passato era riuscito a porre così violentemente, dell’esistenza di un legame profondo città-montagna, che va necessariamente portato fuori dall’immaginario dorato degli ultimi cinquant’anni e affrontato dentro un sistema relazionale di flussi che avvicina e lega fra loro i territori, poiché genera impatti importanti e definisce traiettorie specifiche di sviluppo. E allora proprio in un momento in cui si celebra sui giornali il rilancio dei borghi come alternativa alla città, ci troviamo a fare i conti con un sistema metro-montano tutto da costruire e re-immaginare. Un sistema metro-montano che è la spina dorsale della nostra Regione. E’ tempo allora di pensare alla qualità della vita e dell’abitare, ad un progetto di residenzialità in cui si riconoscono le specificità territoriali. E’ giunto il momento di andare oltre al turismo dorato, esotico o alle facili seduzioni narrative della montagna, e va pensato un sistema in cui il legame è un valore e non una dipendenza.
Solo allora potremo definirci abitanti nella montagna, godere delle neve dorata (dove ci sarà ancora…) e rivivere appieno i borghi.
Federica Corrado