La farfalla, con il suo volo, i suoi colori e la sua bellezza, è un animale capace di suscitare in noi intense emozioni. E’ inimmaginabile un prato senza farfalle, eppure anche questi insetti sono sempre più a rischio di estinzione: ad esempio la Lycaena helle, una specie un tempo piuttosto comune nelle nostre montagne, è scomparsa dal nostro Paese già nella prima metà del 1900. Un’altra farfallina, la Erebia christi, detta anche “farfalla dei ghiacciai”, una rarità che abita l’estremo nord del Piemonte e la confinante Svizzera, attualmente è tenuta sotto stretta osservazione poiché considerata dagli esperti una specie in declino. Il manto nevoso sotto il quale i bruchi trascorrono l’inverno è diminuito e questo costituisce un forte rischio per la specie. Delle 289 specie di farfalle presenti in Italia ben 18 sono in pericolo di estinzione. Ma, a parte il valore estetico, bisogna sapere che, per il ruolo fondamentale che svolgono negli ecosistemi, le farfalle sono ottimi indicatori per la tutela dell’ambiente e della biodiversità. Addirittura ne rappresentano un campanello di allarme. La biodiversità, in altre parole la varietà delle forme di vita animali e vegetali che popolano la Terra, patrimonio unico e prezioso, oggi è fortemente a rischio. Molteplici sono i fattori che provocano la riduzione della biodiversità, tra questi: i cambiamenti nell’uso del suolo, le immissioni di inquinanti, l’introduzione di specie animali e vegetali esotiche e, last but not list, i cambiamenti climatici. I cambiamenti nell’uso del suolo, in particolare il suolo edificato, mantengono tuttora il primato in quanto a fattori con più alto indice di impatto sulla biodiversità. Il risultato principale è la frammentazione di habitat e paesaggio dove prevalgono le specie opportuniste e si perde la possibilità di scambio genetico. Al pervicace consumo di suolo, con una sempre maggior virulenza, si vanno sovrapponendo gli effetti dei cambiamenti climatici. Infatti per gli anni a venire gli scienziati prevedono che il cambiamento climatico diventerà il problema prevalente nella crisi della biodiversità. Alpi e Appennini saranno tra le zone più vulnerabili con una perdita di specie vegetali stimata, entro il 2100, di circa il 60%.
Ma come metterci al riparo? Nelle politiche di conservazione delle nostre montagne assumono una valenza determinante le Aree Protette e le Reti Natura 2000, insieme a coordinamenti come “Alp Parc” e a tutte quelle forme di cooperazione e di protezione della natura che comportano attenzione alla pianificazione urbanistica e alla conservazione attiva dell’ambiente e della biodiversità culturale e naturale. In particolare i Parchi italiani sono luoghi dove la tutela degli elementi ecologici si può intrecciare e rafforzare con la secolare presenza dell’uomo e delle sue attività tradizionali (attività agro-silvo-pastorali, ricreative o altre attività produttive di varia natura). E se questi fondamentali strumenti di gestione del patrimonio naturale non possono opporsi al cambiamento climatico, possono però costituire siti di rifugio più sicuri e, in alcuni casi, un freno al precipitoso evolversi delle situazioni, creando un forte valore aggiunto per il territorio. I parchi garantiscono il necessario grado di “resilienza” ovvero di resistenza attiva e adattamento al degrado degli ecosistemi e sono determinanti per agevolare gli spostamenti e la diffusione delle specie man mano che si modifica il loro “spazio climatico”.
I parchi sono chiamati oggi a svolgere un ruolo fondamentale nel rafforzare la resilienza degli ecosistemi attraverso soluzioni basate sulla natura, le cosiddette nature-based solutions (Nbs). Possono cioè dare un contributo consistente alla gestione del rischio di calamità naturali e alla riduzione degli effetti degli eventi estremi. La aree protette potrebbero addirittura diventare un laboratorio di eccellenza per sperimentare le potenzialità degli interventi naturalistici. Tra questi il ripristino degli alvei fluviali, così come sta accadendo in molti Paesi europei, per aumentare le capacità di trattenere acqua e regolare la velocità di flusso. Interventi di questo tipo se da un lato sono molto utili per aumentare il grado di biodiversità, d’altro canto si stanno rivelando fondamentali per la prevenzione dei pericoli. Sempre in materia di protezione dalle piene, le torbiere e le zone umide – scrigni per eccellenza di biodiversità – sono utilissimi perché possiedono un’elevata capacita di trattenere l’acqua. Inoltre per affrontare meglio l’impatto dei cambiamenti climatici, occorrerà sviluppare progetti pilota di supporto alle attività agricole, all’ecologia integrata e alla riqualificazione naturalistica per un’agricoltura basata su specie e colture diversificate, compatibili con le condizioni locali. A tale proposito tutte le buone pratiche agricole che si stanno organizzando nei nostri parchi possono diventare un ottimo volano per lo sviluppo futuro del nostro Paese.
Il 2020 sarà l’anno della biodiversità, un anno fondamentale per impostare le future politiche internazionali in tema di tutela della biodiversità e di contrasto ai cambiamenti climatici. Per il 2020 sono in programma le Cop delle Convenzioni globali dell’Onu, il Iucn World Conservation Congress di Marsiglia e il Summit della Biodiversità delle Nazioni Unite che – coronavirus permettendo – si terrà in ottobre a Kunming, in Cina. Una bella scommessa per i parchi e la biodiversità. Si tratta di una grande sfida che vorremmo fosse raccolta per quel necessario processo di rinnovamento di cui il Paese ha bisogno, un indispensabile contributo per la realizzazione del Green New Deal così come l’Europa si sta impegnando ad attuare.
Vanda Bonardo