Le Alpi si configurano nel panorama attuale come “laboratorio strategico” in cui sperimentare nuovi modelli di sviluppo, di grande interesse in quanto applicabili anche in contesti urbani e in grado di conciliare, oltre che crescita e qualità, anche innovazione e valorizzazione delle eredità. Il motore di crescita delle aree montane basato sul binomio “turismo+edilizia”, fino a pochi anni fa trainante, sta al momento subendo un forte rallentamento a causa di fattori diversi, primo fra tutti la crisi del turismo di massa. Le aree montane, e tra queste soprattutto quelle localizzate nelle Alpi occidentali (si pensi alla Val Maira e a gran parte delle Valli di Lanzo) dopo aver subito un forte e quasi totale spopolamento a partire dagli anni ’50, si trovano ancora oggi in una situazione di forte debolezza strutturale dal punto di vista degli indicatori demografici e socioeconomici.
Per questa ragione è necessario rafforzare e in alcuni casi addirittura costruire o “ricostruire”, il “rapporto montagna-città” con politiche territoriali volte alla coesione e cooperazione: uno scambio equo e non una dipendenza o subordinazione. Tuttavia, nel corso del tempo, questo a volte contraddittorio e ambiguo rapporto è sempre stato di tipo “gerarchico”, con la città a dettare le condizioni di “sfruttamento” delle opportunità presenti nei territori montani. L’Ottocento vede infatti le “Alpi come laboratorio” dove sperimentare liberamente le innovazioni tecniche e scientifiche provenienti dalle aree urbane, mentre il Novecento è il secolo della “città traslata in montagna”, dove i territori montani si trasformano in “luoghi di servizio” per la città.
Vera e propria “banlieue blanche” (A. De Rossi, 2017), le Alpi degli anni Sessanta vedono nel modello turistico e nella crescita incontrollata l’unico motore di sviluppo possibile. Le località montane, soprattutto quelle più appetibili per il turismo invernale, si popolano di abitanti temporanei provenienti dalle vicine città, che importano nuovi modi di costruire (si pensi alla diffusione della tipologia del condominio multipiano, tipica dei contesti urbani) e di percepire la montagna. Ciò porterà non solo ad irreversibili trasformazioni del paesaggio alpino, privato proprio di quella naturalità dalla quale -soprattutto oggi- il turista è attirato, ma anche a un cambiamento culturale e identitario dei luoghi. Si assiste infatti a una tangibile urbanizzazione del “modo di pensare” stesso degli abitanti locali, percepibile nella serena diffusione dei materiali provenienti dall’edilizia speculativa a basso costo, che soppiantano in maniera pressoché totale le tecniche tradizionalmente tramandate per generazioni.
Le attuali strategie e organismi di tutela e valorizzazione (Eusalp, ma anche Cipra e la più recente Snai) condividono obiettivi comuni che indicano la volontà di costruire politiche di sviluppo sostenibile per le Alpi. In particolare, la strategia macroregionale per l’area alpina Eusalp è un passo importante verso una condizione di scambio e di interdipendenza tra aree montane e urbane; tra i pilastri fondanti, vi è infatti un vero e proprio “patto di solidarietà” tra città e montagna, ovvero un’alleanza responsabile tra società urbane e società rurali alpine attraverso un grande progetto condiviso e partecipato. Tale progetto deve dunque trovare le modalità per fungere non soltanto da risposta tecnica a problemi riguardanti il campo architettonico/costruttivo, ma anche e soprattutto da mediatore culturale, da collante fra le varie parti di modo da trovare una legittimazione sociale e culturale. Progetto dunque come “mezzo”, non come fine. Qualcosa che ha a che fare con “l’integrative design”, ovvero la possibilità di immaginare un modo diverso per capire come gli esseri umani, l’ambiente edificato e il mondo naturale interagiscano reciprocamente, tutto ciò traslato alla scala non del singolo edificio, ma territoriale. Visto il rapporto di “circolarità” tra modifica dello spazio, nuove economie e cambiamenti sociali che si verifica allo stesso modo nelle aree urbane come in quelle montane, è necessario agire all’interno di un meccanismo che sia concreto sul piano economico, produttivo e sociale.
Le strategie progettuali adottabili sono le più svariate, tanti sono i campi di azione lasciati aperti dai molti decenni in cui le aree montane sono state percepite come subordinate a quelle urbane: si può agire recuperando ciò che resta del patrimonio storico, con la possibilità di ibridare la tutela con le più innovative strategie di risparmio energetico; oppure si può intervenire sull’eredità delle seconde case, per capire se adottare strategie di “retrofit” o se sia invece preferibile un intervento più radicale di sostituzione con edifici contemporanei e all’avanguardia, magari all’interno di strategie per il welfare che puntino ad un utilizzo nuovo e condiviso degli spazi costruiti; oppure, ancora, ripensare alla montagna come luogo in cui vivere e lavorare in una dimensione diversa, più vicina ai fenomeni di cui alcuni centri di ricerca situati nelle zone urbane si occupano quotidianamente, ma senza avere la possibilità di osservarli e sperimentarli sul campo.
La direzione, dunque, data l’evidenza che le aree montane si prestano, oggi più che mai, ad essere luoghi non solo da rispettare e tutelare, ma di cui conoscere e considerare le opportunità e le possibilità di azione, deve essere quella di creare, anche attraverso il progetto, sistemi locali avviati e all’avanguardia che alimentino nuove modalità di turismo in un contesto contemporaneo e nel rispetto delle peculiarità e specificità locali.
Eleonora Gabbarini
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