Sulla piazzetta di Mocchie, tre uomini guardano lo spettacolo della montagna: di fronte a loro si vede la sagoma imbrunita della Sacra di San Michele, più in alto a sinistra la luna quasi piena, alle loro spalle, come fondale di quel palcoscenico naturale, la facciata della chiesa di San Saturnino e, accanto a loro, in una platea immaginaria, come spettatore d’eccezione, “La donna con la gerla”, statua simbolo delle fatiche, della tenacia e dell’orgoglio della gente di montagna.
Era la primavera del 1996 e i tre uomini erano Gigi Giuliano, sindaco di Caprie e Assessore alla Cultura della Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia, Andrea Galli, operatore culturale e consigliere comunale del comune di Condove, che aveva come sindaca Giuseppina Canuto, e il terzo ero io, amico di gioventù di Andrea, chiamato come direttore artistico di Onda Teatro a ragionare sulla possibilità di creare una manifestazione innovativa dedicata ai temi della montagna. Ma non la montagna delle rinomate stazioni turistiche e sciistiche, bensì quella più povera, quella delle borgate delle vallate alpine e della cultura contadina, come ad esempio Mocchie, una delle 77 frazioni montane che sormontano il comune di Condove. Mocchie è, ancora oggi, una borgata di Condove, posta a 791 m di quota, sulla strada che risale il vallone del Gravio su fino all’ampio colle del Colombardo. La donna con la gerla è ancora, ventiquattro anni dopo, il logo del festival. È all’ombra e sotto lo sguardo silenzioso di quella statua, con la Sacra di San Michele sullo sfondo, che abbiamo avuto l’imprinting. È sotto quello sguardo che, in qualsiasi condizione climatica, ogni anno ad agosto si rinnova l’appuntamento con il teatro.
Portare a teatro, in luoghi e condizioni climatiche insoliti per il teatro, persone che forse prima non erano mai state a teatro: una bella scommessa per un festival nascente, che non era scontato riuscire a vincere.

Lo spirito del nostro festival è l’incontro con “l’altro”, come diceva Grotowski, è stendere un tappeto a terra e ascoltare due attori che abitano quello spazio per raccontare una storia, come diceva Peter Brook, e la gente di montagna è abituata da secoli a incontrare “l’altro”, ad ascoltare storie venute da lontano, ad essere solidale e a dare ospitalità. Ed  è quello che è avvenuto anche con noi. Dopo un primo momento di naturale diffidenza, l’incontro è diventato prolifico: curiosità, partecipazione, coinvolgimento, solidarietà. Sono nate le collaborazioni con le Pro Loco, le Associazioni Culturali locali, le aziende agricole e vitivinicole, i residenti e i villeggianti.
Frequentare Lo Spettacolo della Montagna, per il nostro pubblico è stato e continua ad essere  soprattutto un’esperienza inedita di teatro. L’esperienza consiste nel fatto che la gente non assiste solamente a uno spettacolo. Conosce un luogo particolare, un palcoscenico naturale che ha una storia e una bellezza propria, poi viene accolto in un modo preciso, assiste allo spettacolo che, solitamente, è preceduto o seguito da un momento conviviale. L’esperienza del nostro festival ha aperto la via ad altri eventi simili, contribuendo a cambiare la percezione della montagna e dei territori montani. Promuovere la cultura e lo spettacolo dal vivo in Valle di Susa coinvolgendo e valorizzando comuni e borgate montane non solo per la loro bellezza, ci ha permesso di suggerire una diversa immagine della montagna. Un territorio che si rivolge ai cittadini non più come “parco giochi” o luogo delle tradizioni e del folklore ma come modello di un progetto di vita alternativo a quello dei grandi insediamenti urbani. Accendere i riflettori sullo spettacolo degli artisti significa anche mettere in luce lo spettacolo della montagna. Riflettori che col tempo hanno illuminato le borgate, rinnovate, ristrutturate e poi ripopolate, favorendo il ricambio e il rinnovamento delle persone che abitano i territori montani.

I sostenitori della manifestazione sono i comuni innanzitutto, ma col tempo, affinché il progetto potesse consolidarsi e proiettarsi negli anni, è stato necessario costruire una rete formata dalle Comunità Montane, la provincia di Torino, la Regione Piemonte, le fondazioni bancarie, enti pubblici e sponsor privati. Nei suoi ventiquattro anni di storia, Lo Spettacolo della Montagna ha attraversato numerose valli, ha sconfinato in Haute Maurienne, ha ospitato centinaia di artisti e creato eventi di tutti i tipi: dalla rievocazione della leggenda della Bell’Alda alla Sacra di San Michele, alla celebrazione dei cent’anni della statua della Madonna del Rocciamelone. Eventi realizzati con professionisti e con la comunità locale che si racconta.
Il 31 luglio del 1996, tre uomini vedono arrivare da lontano ed alla spicciolata tante persone, che prendono posto sulle sedie di legno sistemate da Osvaldo Croce e dalla Pro Loco davanti ad un palco che ha come fondale la facciata di una chiesa. Ci sono tante teste con i capelli bianchi ma anche molti giovani, le famiglie della borgata ma anche gente che è salita da Condove e da altri paesi della valle. La serata è fresca e ventosa, il buio lentamente scende e Maria Paola Pierini lentamente sale sul palco e comincia a raccontare l’impresa dell’alpinista Henriette d’Angeville, la prima donna che ha scalato il Monte Bianco.
Quando devi fare dieci passi, nove sono la metà del cammino dice un proverbio cinese. È “Paradis”, il primo dei 5 spettacoli che si svolsero a Mocchie nelle 3 serate della prima edizione del Festival. L’anno successivo i luoghi di svolgimento diventeranno 3, poi 5, poi 10, poi 15… E gli spettacoli della montagna sempre più numerosi. Il rivolo d’acqua sgorgato da Mocchie ventiquattro anni fa si era trasformato dapprima in un torrente di montagna e poi nel fiume che scorre ancora oggi.
Bobo Nigrone – direttore artistico de Lo Spettacolo della Montagna – con il prezioso contributo di Piero Luigi Giuliano e Andrea Galli