L’idea di Éntula nasce dalle ragioni per cui è nata Lìberos, l’associazione culturale che lo organizza: moltiplicare le occasioni di fruizione culturale per tutti, tutto l’anno. La nostra regione, la Sardegna, è ricchissima di festival letterari, quindi fare l’ennesimo festival che prevedesse la concentrazione di tanti autori in un solo luogo per pochi giorni non ci sembrava interessante, né, passatemi il termine, “responsabile”: in tempi di tagli alla cultura, abbiamo preferito pensare di portare il pane quotidiano in tavola tutto l’anno, piuttosto che aggiungere un’abbuffata al calendario dei lettori. Questo perché, evidentemente, chi frequenta i festival letterari è già un lettore. Il nostro obiettivo invece era ed è raggiungere quelle persone che non necessariamente leggono, o magari leggono solo occasionalmente, offrendo l’occasione di incontrare autori e parlare di libri a chi, probabilmente, non l’ha mai avuta. La Sardegna è fatta di 377 comuni, la gran parte dei quali sotto i mille abitanti. Non è pensabile che ognuno di essi ospiti un intero festival letterario, ma ciascuno può, invece, ospitare un pezzetto di Éntula.
Ecco perché non possiamo parlare di “una” comunità di Éntula: le comunità di Éntula sono quelle delle 50 località che ogni anno tocchiamo, e ciascuna ha la sua personalità.
In questi anni abbiamo sperimentato diverse reazioni da parte dei pubblici con cui abbiamo interagito. Ci sono state le comunità che al primo incontro erano piuttosto fredde e col passare del tempo si sono appassionate. Quelle che da subito hanno accolto gli scrittori sommergendoli di domande e aprendo dibattiti a volte molto accesi. Quelle che hanno preparato l’incontro con tale energia e partecipazione da trasformare un semplice incontro letterario in un momento di grande condivisione e crescita civile per tutto il paese…
La grande differenza, che però gli autori non sembrano affatto disdegnare, sono i numeri: è chiaro che in un piccolo paese, rispetto alle città, il numero di partecipanti è sempre limitato, ma non per questo limitante. Anzi. Come ebbe a dire Gian Antonio Stella di fronte a un camino acceso alla fine di un incontro qualche anno fa, “non c’è grande teatro pieno che possa darti la stessa soddisfazione che riempire una piazzetta in una contrada fuori mano”.
Un grosso ruolo nel coinvolgimento lo hanno gli amministratori e i bibliotecari, perché è con loro che noi facciamo la programmazione delle attività, e sono loro che riescono a interpretare le esigenze delle singole comunità. Quello che possiamo dire è che si tratta di residenti, non di turisti, se non in qualche rara eccezione: le attività infatti sono quasi tutte in zone interne e quasi nessuna a luglio e agosto. Del resto, non sono pensate per intrattenere i vacanzieri, ma per arricchire il capitale umano e sociale dei cittadini. Quando pensiamo allo sviluppo del territorio come effetto del nostro operare, infatti, non pensiamo ai ristoranti e ai bed&breakfast che ne possono beneficiare, ma all’allargamento degli orizzonti delle persone, alla curiosità e alle riflessioni che un dibattito pubblico, a partire da un libro, può suscitare. Pensiamo all’abbattimento di una barriera di accesso alla cultura che è, soprattutto, psicologica: la percezione di qualcosa di noioso, per laureati, col risultato che chi più ne avrebbe “bisogno” se ne tiene alla larga.
Insomma, l’esperienza nei piccoli paesi interni è sempre positiva, per noi che organizziamo, per l’autore che viene, per la comunità che ci accoglie. E la sensazione di aver fatto qualcosa di buono e di utile, qualcosa che mancava, ci ripaga dell’immensa fatica che questo lavoro comporta.
Francesca Casula