A distanza di sei mesi dalla tempesta Vaia, sono più chiari i contorni di questo importante evento meteorologico che ha colpito il settore orientale delle Alpi. Si stima che il patrimonio boschivo danneggiato ammonti al 3-4% del totale, rappresentando però anche il 40% in alcuni comuni. 494 i comuni interessati, circa 42.500 gli ettari distrutti e oltre 8 milioni i metri cubi di alberi a terra. Il legname caduto e schiantato equivale a quanto se ne ricava normalmente in 6-7 anni di attività esboschiva pianificata.
La maggior parte del legname finora esportato viene impiegato come combustibile (cippato e pellets) o utilizzato nel settore degli imballaggi, solo una piccola parte prende la strada di un utilizzo di qualità. Qual è dunque lo stato dell’arte sulla filiera del riciclo nel settore edilizio del legno caduto?
Innanzitutto, come accennato, il legname caduto e schiantato non è la conseguenza della classica pianificazione esboschiva, bensì il risultato del “caotico” lavoro distruttivo della Natura. Il materiale si trova spesso in zone impervie e questo determina una complessità aggiuntiva nel suo trasporto e un conseguente aumento dei costi già nella prima fase della filiera. Si pensi solo all’accessibilità dei crinali, alla pericolosità di gestire e rimuovere masse arboree accatastate alla rinfusa, o ancora alle tecnologie di asportazione.
In secondo luogo, ci sono due tipologie di “caduta”: la caduta per eradicazione della pianta e la caduta per schiantamento. La seconda categoria prevale ampiamente sulla prima. Gli effetti diretti sulla commercializzazione del legname sono che da uno schiantamento si possono ricavare lunghezze variabili, ovviamente più ridotte rispetto ad una caduta per eradicazione, e spesso la frattura del tronco avviene nella parte inferiore, dove la pianta ha più valore. Per quanto riguarda le proprietà meccaniche delle fibre invece, come dimostrato da prove in laboratorio, esse non vengono compromesse lungo la parte integra della pianta danneggiata.
Vi è infine la questione dei vari parassiti, (funghi, batteri, carie, insetti -il temutissimo Bostrico), che entrano in azione sul legno morto a partire dai primi caldi, ed è da notare peraltro come il passato inverno sia stato sostanzialmente mite, e probabilmente questo potrà accelerare il danneggiamento del legno. Oltre a rappresentare un problema fitosanitario, ovviamente questo deperimento incide anche sulla qualità del legno, che con il passare del tempo è destinata ad abbassarsi se non si procede in tempi rapidi. Queste tre premesse sono il quadro entro il quale si può collocare un riciclo di qualità del legno, di cui abbisogna il settore edilizio.
Il Pefc Italia (Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale) ha recentemente lanciato un progetto di filiera solidale (http://www.filierasolidalepefc.it/) per certificare il legname proveniente dagli schianti della recente tempesta con relativo logo da utilizzare. Perché una certificazione? La risposta sta nel fatto che tre quarti del legno destinato ad opera, in Italia, proviene dall’estero, mentre quello prodotto sul territorio nazionale è prodotto di esportazione: la maggior parte del legno pregiato viene acquistato dall’Austria, dove viene trasformato in materiale edilizio e di nuovo rivenduto, mentre sul suolo nazionale resta legno di qualità inferiore. Questo è il vero cuore del problema, che necessiterebbe di un’ampia indagine sulla filiera produttiva e sulla valorizzazione della risorsa legno.
Ma tornando alla filiera solidale Pefc, qualche segnale positivo esiste: la lista delle aziende di trasformazione che vi aderiscono cresce in Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Trentino- Alto Adige/Sudtirol e Lombardia. Col legname certificato vengono prodotti tavolati per travi lamellari, complementi d’arredo (panche, tavoli, giochi ecc.), e una minima parte viene utilizzata per travature in legno massello. Tra tutte le esperienze interessanti, ne spiccano alcune come l’azienda friulana “Legnolandia”, che col legno certificato sta costruendo arredi da spiaggia per il litorale di Lignano Sabbiadoro (panche, pedane, ombrelloni), precedentemente prodotti in materiali plastici.
L’azienda veneta “La fattoria del Legno”, che ha realizzato il “museo Vaia”, un progetto fisico di costruzione di un edificio con lo scopo di dimostrare che si può attuare una filiera locale indipendente a partire dalla figura del boscaiolo.
L’azienda trentina “Fanti Group”, che segue la filiera del legno dal taglio al prodotto finito per la messa in opera nel campo della ecoedilizia.
Questi esempi virtuosi rimangono tuttavia l’eccezione nella generale mancanza di valorizzazione del legno. Ciò che emerge da un’indagine su queste e altre aziende è essenzialmente la mancanza di contributi da parte delle regioni, Friuli Venezia Giulia a parte, per incentivare l’esbosco, la mancanza di risorse interne (macchinari, professionalità) per l’esbosco del legname e la mancanza di strutture di trasformazione primaria, come le segherie.
La tempesta Vaia ha messo in evidenza un problema fondamentale delle nostre valli: la scarsità di una filiera corta di trasformazione del legno e più in generale l’assenza di una comprensione politica sui boschi come una risorsa per il futuro, bisognosa di cure continue e in alcuni casi di interventi di emergenza massicci ed immediati, ma più in generale ancora di uno scarso sfruttamento di questa risorsa. Scarseggiano le segherie sull’Altopiano dei Sette Comuni, dove ogni comune si è mosso singolarmente affidando il prelievo di legname a ditte di Cuneo, Parma, Udine o Trento, e mancano artigianalità strutturate presenti sul territorio. Insomma, Vaia ha mostrato quanto il comparto produttivo sia ancora debole e carente. In ogni caso, Vaia potrebbe favorire un cambiamento di vedute, e una svolta di questo tipo potrebbe essere uno stimolo potente verso una rinascita culturale ed economica delle nostre Alpi, in cui il legno venga valorizzato e apprezzato come merita e come lo era nel passato.
Margherita Valcanover
Info: www.polito.it/iam