All’interno del seminario “I beni comuni rurali montani: una risorsa per il futuro” (tenutosi a Bolzano nel mese di gennaio di quest’anno presso Eurac Research) si è voluto dare voce a chi è giornalmente coinvolto nella gestione degli usi civici e delle proprietà collettive nell’arco alpino. Il confronto è stato possibile attraverso una tavola rotonda a cui hanno partecipato Stefano Lorenzi (Segretario generale delle Regole d´Ampezzo, Veneto), Robert Brugger (Presidente dell´ASUC di Rover-Carbonare, con proprietà in Provincia di Trento e Bolzano), Luca Riccadonna (Socio fondatore della Cooperativa Fuoco, Provincia di Trento) e Julia Mayr (in rappresentanza del Bauernbund della Provincia di Bolzano). Questi rappresentavano la voce di realtà con percorsi e storie diverse, caratterizzati da modelli gestionali tra loro eterogenei e a volte complessi, laddove uso conservativo e produttivo delle risorse coincidono con il fine del mantenimento delle comunità, e dei loro interessi, negli ambiti rurali.

Le Regole di Ampezzo sono state fondate nel 1225, ed hanno possedimenti su oltre 1.600 ettari ed oltre un centinaio di edifici. Gestiscono il Parco Naturale delle Dolomiti d´Ampezzo e tra le loro prerogative vi sono anche il mantenimento della cultura e lingua locali. La Cooperativa Fuoco è la prima cooperativa di comunità del Trentino; è stata fondata nel 2018 da nove soci, prevalentemente giovani residenti nei territori delle Giudicarie, impegnati anche in azioni di turismo sostenibile nella Riserva della Biosfera UNESCO. Il Bauerbund dell’Alto Adige ha oltre 20.000 associati operanti nel settore primario e da anni è coinvolto in una azione volta a valorizzare, anche attraverso l’azione degli agricoltori, il patrimonio collettivo attribuito a 116 ASUC presenti nella provincia di Bolzano. L’ASUC di Rover-Carbonare è una realtà collocata nella valle dell’Avisio al confine tra le provincie di Trento e Bolzano che gestisce una serie di proprietà nel comune di Capriana, all’interno delle quali vi sono anche infrastrutture per la produzione idroelettrica.
I relatori hanno ricordato come fino a pochi decenni fa la gestione agro-silvo-pastorale era una esigenza di sussistenza per le loro comunità, ma che ad oggi non è più tale. Molti sono gli interessi economici che negli ultimi decenni hanno modificato la struttura sociale ed economica dei territori montani. Tra queste sicuramente il turismo, che richiede interventi e strategie per una gestione razionale degli spazi (come parcheggi, malghe, strade forestali) oppure il settore energetico, dove per rispettare gli obiettivi sulla produzione di energia da fonti rinnovabili previsti dal Protocollo di Kyoto per il 2020, spesso vengono date concessioni idroelettriche senza un confronto tra amministrazioni e comunque in assenza di una norma specifica di tutela delle risorse e delle comunità locali.
Come ricordato da Lorenzi, fortunatamente lo “spirito regoliero” è stato trasmesso da una generazione all’altra. I vicini si sentono consorti rispetto al patrimonio della comunità ed alla loro gestione, ma diventa necessario allargare il consenso. Infatti non bastano leggi e statuti per far lavorare bene le comunità, bisogna trasmetterlo alle nuove generazioni facendo una “educazione all’economia comunitaria”. Secondo Brugger, usi civici e patrimonio collettivo hanno un valore inestimabile, ma la prima problematica è il coinvolgimento dei giovani. Ciò si traduce in azioni dirette alla comunità, come ad esempio l´affidamento della gestione delle malghe in via prioritaria ai giovani imprenditori locali. Il valore di questi beni comunitari deve essere trasmesso anche a soggetti esterni. Come ricordato da Mayr, infatti a volte è difficile gestire i grandi flussi di persone che frequentano la montagna e far comprendere loro la peculiarità di queste forme di proprietà e di gestione. Possibili forme di contrasto con fruitori temporanei che, per i residenti, potenzialmente si vanno ad accumulare a quelle in essere tra i vari enti che gravitano sul territorio. Una situazione, spesso protratta negli anni, che va ad affievolire il senso di partecipazione attiva dei membri della comunità. Questi infatti associano la gestione dei beni comuni ad un ambito altamente conflittuale (tra proprietà, gestione, interessi, …) e dunque poco attrattivo perché poco costruttivo e troppo complesso.
Gli organismi e soggetti rappresentati nel confronto sono infatti chiamati ora ed in futuro a negoziare sempre maggiori e diversi interessi, aspettative e bisogni sia dentro le comunità rurali dove vivono visioni diverse, che verso altri soggetti. Con il rischio, parafrasando quanto detto da Riccadonna, di non cogliere una delle soluzioni per l’economia montana futura. Ossia di dare la possibilità a chi vuole fare, di fare.
Il confronto si è voluto chiudere con una riflessione sulle sfide future ed il ruolo che istituzioni come queste potranno avere nel contesto rurale e montano. Il punto di partenza è stata l´affermazione che gli strumenti, gli assetti, le regole di cui si sono tradizionalmente e storicamente dotate le comunità per gestire le loro risorse potrebbero attualmente rivelarsi non sempre soddisfacenti all´adattamento ai cambiamenti esterni e altre variabili. Questo porterebbe a sistemi socio-ecologici non resilienti.
Essere attivamente coinvolti ed impegnarsi per proteggere gli elementi che contraddistinguono la comunità è di grande importanza, qualora questi possano essere a rischio di essere sovrasfruttati (vedi per le risorse a forte attrazione turistica) o che, comunque, debbano essere riconosciuti (come la risorsa idrica captata per le grandi derivazioni elettriche). Vi è il rischio concorrente che altre risorse vengano invece sotto utilizzate o persino abbandonate. I relatori convengono che il patrimonio di queste comunità debba quanto meno essere valorizzato, facendo conoscere cosa è stato fatto e si fa per il loro mantenimento. L’ambito culturale è uno dei primi problemi su cui intervenire, anche per tenere acceso l’interesse nei confronti dei valori del passato che sono validi tuttora. Deve radicarsi la consapevolezza del significato che riveste il gestire una risorsa comune, principalmente da parte dei vicini/residenti. In tempi recenti questi sono restii ad assumersi responsabilità, non comprendendo appieno le potenzialità di questo insieme di risorse o ignorandone, rispetto agli amministratori pubblici che invece sono ben informati, la dimensione e valenza. Laddove invece la collettività ci crede servono delle aperture, altrimenti si va ad esaurire la platea di coloro che sono i titolari dei diritti. Tra le soluzioni si annovera l´estensione a più soggetti il diritto di gestire ed usufruire dei beni comuni, siano altri componenti del nucleo familiare originario o altri soggetti insediati sul territorio, indistintamente dal genere ed età e provenienza.
Una possibile risposta è stata portata dalla testimonianza della Cooperativa “Fuoco”. Secondo Riccadonna, cambiare l’atteggiamento mentale è l’elemento centrale della resilienza. Questo riguarda ad esempio andare in contro-tendenza rispetto alle logiche della Politica Agricola Comunitaria. Questa vorrebbe la realizzazione di una serie di iniziative multi-funzionali nelle aree rurali, ma con dimensioni e modelli poco compatibili con le strutture che alla montagna si sono adattate. Al contrario, la fondazione di una cooperativa di comunità è una forma innovativa per poter trarre reddito ed impegnare in modo collettivo, e non solo individualmente, coloro che localmente hanno interesse a promuovere il territorio montano, con gli elementi che lo caratterizzano, i suoi prodotti e narrarne le peculiarità. In prospettiva, ma anche in pratica, si può pensare che anche i turisti possano diventare soci di queste cooperative se effettivamente hanno intenzione di fare qualcosa di concreto ed attivo per la comunità, andando così a riconoscere, anche dall’esterno, il valore di questi modelli di governo rurale-montano. Un´ imprenditoria che viene dalla tradizione cooperativa dei territori montani, che potrebbe dare le risposte che le Terre Alte cercano per il futuro.
Alessandro Gretter, Fondazione Edmund Mach e Università di Innsbruck