Carlo Cattaneo, lungimirante intellettuale ottocentesco, convinto quanto inascoltato sostenitore di un assetto federalista per il futuro Stato italiano, a proposito delle proprietà collettive diffuse nelle comunità rurali di “antico regime” affermava: «Questi usi non sono abusi, non sono privilegi, non sono usurpazioni: è un altro modo di possedere, un’altra legislazione, un altro ordine sociale». Cattaneo, alla fine del diciannovesimo secolo, era deluso dal prevalere delle tendenze centraliste del movimento risorgimentale italiano, alle quali contrapponeva il modello cantonale elvetico. Con tale affermazione egli tendeva ad esaltare il valore economico e sociale dei beni comuni e l’autonomia delle popolazioni montane rispetto al governo centrale.
Dal punto di vista storico-antropologico, le origini delle autonomie alpine e quindi dei beni comuni devono essere ricercate nel basso Medioevo (fra XII e XIV secolo), allorquando si verificano cambiamenti profondi di natura demografica, economica e politica. La crescita sensibile della popolazione, in particolare dopo l’anno Mille, costringe i grandi proprietari di terre – identificabili nella feudalità ecclesiastica e laica – a guardare alle terre selvagge con un interesse del tutto imprevisto. Si vengono a determinare le condizioni e i presupposti per un cambio di prospettiva nel modo di utilizzare e governare i territori di montagna. La distribuzione demografica sulle Alpi, durante l’Età antica e nell’alto Medioevo, era contraddistinta da discontinuità territoriali rilevanti. Le strategie di insediamento privilegiavano territori a mezza costa, orientati a “solivo” e posti alle medie altitudini. Gli insediamenti a quote elevate avevano una destinazione esclusivamente stagionale. Nel corso del primo millennio sarà predominante la tendenza a considerare la catena alpina un luogo di passaggio e di presidio territoriale. Nella prospettiva di favorire il sorgere di insediamenti permanenti, trasformando quelli stagionali precedenti, si porrà mano a una vasta rivoluzione rurale. La positiva contaminazione fra pratiche giuridiche di tipo consuetudinario germanico (“Weistűmer”) e istituti di tipo romanistico (“enfiteusi”) porrà le basi per una nuova composizione degli assetti territoriali e gestionali futuri. Nello spazio alpino centro-orientale tale incontro/scontro fra tradizioni culturali diverse entro realtà territorialmente contigue finirà per generare inedite prassi di governance ispirate a criteri gestionali innovativi e vincenti di fronte alle nuove grandi sfide economiche e sociali. I modelli di riferimento nella riorganizzazione della proprietà fondiaria erano sostanzialmente due: i “beni comuni” ad uso delle comunità e il “maso chiuso ereditario” ad uso familiare del contadino primogenito, entrambi di diritto privato. Essi erano accomunati dai principi di “indivisibilità”, “inalienabilità”, “inusucapibilità”.
Per quanto riguarda la formazione di comunità proprietarie di beni comuni (prevalentemente boschi e pascoli), lo scenario alpino offre diverse applicazioni. In Trentino, risale al 14 luglio 1111 la nascita della Magnifica Comunità di Fiemme. Tra le prime in area alpina, essa negozia le proprie libertà di autogoverno su basi collettive con il Principe-Vescovo di Trento Gebardo. La Comunità si definisce, statutariamente, come un insieme di “vicini” (abitanti originari del luogo) i quali gestiscono in forma democratica i “beni comuni” o “terre collettive” (boschi e pascoli, con annessi diritti di erbatico, legnatico, ecc.). Ancora in Val di Fiemme si trova la “Regola Feudale di Predazzo”, nata ufficialmente nell’anno 1608 ma già presente, seppure in forma non codificata, dal XIII secolo con il fine di gestire i beni comuni del Monte Vardabe. Risale al 1249 il primo documento scritto della “Regola di Spinale” nelle valli Giudicarie. Si tratta di un contratto di affitto perpetuo (una porzione di bosco e pascolo) pattuito dai monaci dell’Ospizio di Santa Maria de Campéi (Madonna di Campiglio) con i “vicini” della comunità di Ràgoli e Preore dietro la corresponsione di «un peso di formaggio buono e bello, secco e da monte». Per la Regola di Manéz, che interessa i “vicini” della comunità di Montagne, il primo documento scritto è dell’anno 1377, mentre il primo Statuto di Spinale è del 1410. Similmente, anche le “Carte di Regola” rivestono storicamente una grande importanza. Pur dovendosi ritenere fonti di “diritto proprio”, esse testimoniano la vocazione autonomistica delle genti trentine. La più antica delle normative di “diritto regoliero” trentino risale all’anno 1201 e riguarda la comunità di Civezzano. Il sistema delle Regole aveva un carattere democratico e partecipativo, conforme ai modelli di “democrazia alpina” diffusi su quasi tutte le Alpi. Lo status di “vicino” si trasmetteva ereditariamente e la partecipazione alle assemblee costituiva un obbligo non facilmente aggirabile. Ciò rafforzava il senso di responsabilità nell’esercizio dell’autogoverno. Il modello delle “Assemblee dei Vicini” si diffonderà nei territori alpini assumendo denominazioni diverse: “Regole”, “Interessenze”, ecc. A questi esempi di proprietà collettiva sono assimilabili i “Patriziati” ticinesi, le “Bougeoisies” della Svizzera Romanda, le “Degagne” della Val Leventina, le “Almenden” della Svizzera interna.
Questi esempi virtuosi di “beni comuni” dovranno però scontrarsi con il mutato “spirito del tempo”. Per effetto delle leggi napoleoniche, essi saranno ritenuti anacronistici e “anti-moderni”. Persino nei territori asburgici l’imperatore Giuseppe II ne fu influenzato. Si diffonderà rapidamente la convinzione che i beni comuni siano il retaggio di un vecchio arcaismo rurale, residuo delle società di Antico Regime. A inizio Ottocento iniziano a diffondersi in Trentino i Comuni, istituzioni che avevano preso avvio nell’Italia centro-settentrionale già nel XII secolo, ma pressoché assenti in area alpina. Alla luce dell’affermarsi di queste nuove istituzioni, le vecchie associazioni di proprietà collettiva dovevano essere cancellate per sempre. In Italia, la Legge 19 giugno 1927 n. 1766 sul riordino degli usi civici sarà finalizzata a liquidare le proprietà collettive di antica tradizione e a riposizionare il ruolo dei Comuni nella gestione di questi beni. In Trentino, dove la Provincia autonoma ha competenza primaria sugli usi civici, la legge provinciale del 1956 e quella di riforma del 2005 riaffermeranno i diritti dei frazionisti sui beni comuni attraverso l’“Amministrazione Separata dei beni frazionali di Uso Civico” (Asuc). Circa l’attualità del dibattito sui “beni comuni”, occorre sottolineare che l’economista americana Elinor Ostrom – premio Nobel 2009 – rilancerà il valore dei “commons” per la società contemporanea. Un valore destinato a rafforzarsi alla luce della crisi dei sistemi moderni di gestione. In tal senso, i beni comuni – di diritto privato ma di uso collettivo – possono rappresentare la “terza via” fra statalismo burocratico e liberismo selvaggio.
Annibale Salsa