Come tutti gli anni a novembre, con l’arrivo della prima neve sul Monviso, si è chiusa la stagione di raccolta della frutta. E fra pochi mesi, con l’arrivo dell’estate, se ne aprirà un’altra. Sfruttamento lavorativo e accoglienza sono da anni i nodi irrisolti della questione. Salari ben al di sotto dei livelli previsti dai contratti, lavoro nero e lavoro grigio, infortuni sul lavoro, buste paga fittizie, impossibilità di accedere all’indennità di disoccupazione agricola e altre irregolarità concorrono a peggiorare gravemente la condizione già precaria dei braccianti africani indispensabili all’economia locale.
E’ dal 2010 che Saluzzo è luogo di approdo per centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana (Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio in particolare ma anche Senegal, Gambia, Ghana, etc.) attirati dalla possibilità di trovare un impiego in uno dei più grossi distretti agroindustriali d’Italia dove si producono pesche, mele, kiwi.
Se un tempo ormai remoto erano gli abitanti delle valli alpine circostanti o gli studenti a garantire manodopera non qualificata, in seguito sono stati sostituiti da albanesi, marocchini, romeni e polacchi; oggi sono invece i sub sahariani ad offrire le loro braccia al settore trainante dell’economia locale, sostenuto da grossi investimenti e in costante espansione. Circa il 75% degli impiegati in agricoltura sono stranieri con contratti a tempo determinato più o meno lunghi che vanno da pochi giorni a 6/9 mesi e sono distribuiti principalmente nei comuni di Saluzzo, Revello, Lagnasco, Verzuolo, Scarnafigi, Costigliole. Ma per la maggior parte di questi uomini la meta è Saluzzo, dove non hanno una casa ma da cui bisogna partire in bicicletta per cercare un lavoro nelle campagne circostanti.
Così è il comune di Saluzzo ad accollarsi (malvolentieri) responsabilità e oneri dell’accoglienza: nel 2018 è stato aperto un dormitorio per circa 400 persone presso la ex caserma “Filippi” (denominato PAS, Progetto Accoglienza Stagionali), nell’area del Foro Boario dove nel 2013 e nel 2017 era sorto l’accampamento abusivo che i migranti chiamavano Guantanamò e nei 3 anni di mezzo il Campo Solidale allestito dalla Caritas locale. A gestire il dormitorio è stata chiamata una cooperativa sociale insieme alla CGIL, oltre ad uno straordinario impiego di forze dell’ordine per il controllo del territorio. Per impedire il sorgere di una baraccopoli intorno al recinto della ex caserma, nel mese di giugno era stato eretto un robusto e alto muro di ferro e lamiera proprio dove c’era l’ingresso a Guantanamò.
Oltre 300 persone rimaste fuori dall’accoglienza istituzionale, dopo essersi accampate per qualche settimana sotto il viale del Foro Boario, ad inizio luglio hanno deciso di occupare un immobile di proprietà privata situato in via Lattanzi, nell’area artigianale della città, un tempo adibito a magazzino e officina per mezzi pesanti e inutilizzato ormai da anni.
Dal 10 luglio 2018, giorno dell’occupazione, su via Lattanzi è calato il silenzio, per non amplificare i limiti dell’accoglienza istituzionale e perché nessuno si sarebbe preso la responsabilità di sgomberare 300 uomini, lavoratori, senza fornire una alternativa praticabile. Questo silenzio ha contribuito ad accentuare l’isolamento e il sospetto nei confronti di una condizione innanzitutto considerata illegale, e quindi inaccettabile.
Tuttavia, la Fabrique di via Lattanzi, così chiamata dai migranti, è stata una esperienza forte di autogestione e mutuo aiuto, vissuta dai suoi protagonisti con grande dignità, nonostante la scelta forzata e la situazione difficile. Costanti i rapporti con gli ospiti dell’accoglienza istituzionale, evidenti per il continuo andirivieni di biciclette tra via Lattanzi e il Foro Boario.
L’estate africana che in questo angolo di Piemonte da inizio giugno si prolunga ormai fino alla fiera di sant’Andrea, ha avuto un altro evento nuovo ed inatteso che ha rappresentato una rottura rispetto alle stagioni passate: la manifestazione che si è svolta il 21 luglio 2018 a Cuneo, sostenuta dal Comitato Antirazzista insieme al sindacato di base USB, a Carovane Migranti e ARI (Associazione Rurale italiana). Circa 200 persone hanno manifestato nel capoluogo con lo slogan: “Vogliamo lavorare e vivere fuori da ogni forma di sfruttamento e assistenzialismo”. Nonostante i tentativi di sminuirne la portata, il corteo ha avuto un significato forte per i migranti in quanto la maggior parte di essi era la prima volta che scendeva in piazza per rivendicare dignità e diritti.
Come ogni anno, a partire da novembre i braccianti hanno cominciato a lasciare Saluzzo: quasi nessuno diretto verso casa, molti si sono spostati a Rosarno per ricominciare tutto da capo: la ricerca di un lavoro, di un posto dove dormire, i soliti problemi legati alla residenza e al rinnovo del permesso di soggiorno. L’ultima partenza si è accompagnata alle preoccupazioni destate dalle odiose norme del “Decreto Salvini” che costringono molti dei “saluzzesi” a vivere nell’irregolarità o in un eccesso di incertezza per il proprio immediato futuro.
Il 28 novembre dell’anno scorso il PAS ha chiuso i battenti e il muro a sua difesa è stato rimosso dagli operai del comune; chi era rimasto si è trasferito in via Lattanzi dove restavano, anche lì, poche persone. Gli ultimi: qualcuno perché ancora lavorava, nell’indifferenza dei datori di lavoro che da sempre fanno finta di non sapere dove alloggiano e quanti chilometri percorrono in bicicletta al mattino e alla sera i propri dipendenti, altri perché dovevano ancora ricevere il loro salario, altri ancora perché aggrappati alla speranza di restare a Saluzzo, stufi di fare i pendolari da nord a sud dell’Italia alla ricerca di un lavoro malpagato. Spaesati, privi di altro riferimento che non sia il luogo in cui hanno abitato per qualche mese o il connazionale con il quale hanno condiviso attese e speranze.
In una assolata giornata di inizio dicembre la Fabrique è stata sgomberata da un numero spropositato di forze dell’ordine: dei corpi, suoni, odori, colori che la rendevano viva durante l’estate non è rimasto nulla, solo il grigio dei pilastri e dei muri di cemento, un mucchio di masserizie abbandonate nell’enorme piazzale.
Lele Odiardo
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Il Presidio della Caritas
di Virginia Sabbatini e Alessandro Armando
Di fronte ai fenomeni della cronaca che da anni denunciano l’esistenza di ghetti in cui braccianti agricoli sono costretti a condizioni di vita degradanti, Caritas Italiana ha istituito dal Nord al Sud Italia dei Presidi per addentrarsi nella terra di nessuno in cui dignità e legalità scompaiono di fronte alla sistematica privazione dei diritti.
L’Infopoint Migranti, in corso Piemonte 59, a Saluzzo, è uno sportello di ascolto e orientamento nato nell’ambito del progetto Presidio di Caritas Italiana. Si occupa di lotta allo sfruttamento lavorativo dei migranti in agricoltura e negli altri settori economici-produttivi che maggiormente si prestano al lavoro sommerso e irregolare.
Di fronte ai fenomeni della cronaca che da anni denunciavano l’esistenza di ghetti in cui i braccianti agricoli erano costretti a condizioni di vita degradanti, Caritas Italiana ha istituito dal Nord al Sud Italia, nel 2014, dei Presidi allo scopo di “uscire” dai suoi Centri di Ascolto (luoghi in cui si incontrano ed assistono le persone che vivono in condizioni di povertà e marginalità sociale) per addentrarsi nella terra di nessuno: accampamenti informali, cascine o casolari abbandonati, campi di lavoro e molti altri luoghi in cui dignità e legalità scompaiono di fronte alla sistematica privazione dei diritti.
I Presidi incontrano spesso gli “invisibili”, lavoratori stranieri costretti a vivere in estrema precarietà ed isolamento, in assenza di servizi idonei, soggetti quotidianamente a pratiche di sfruttamento e disagio sociale, sanitario, abitativo.
Gli operatori e i volontari del Presidio, a Saluzzo, si muovono nei diversi luoghi di vita dei migranti per incontrare, mappare le situazioni abitative e lavorative e offrire una prima assistenza materiale, sanitaria, amministrativa, legale e sindacale. Le persone che si rivolgono all’Infopoint possono trovare, oltre ad un’assistenza materiale nei casi di maggiore povertà (progetto Boutique), sportelli di orientamento ai servizi del territorio, avvocati e operatori legali, dottori strutturati in un ambulatorio medico stagionale convenzionato con l’Asl del territorio, volontari che aiutano nella mediazione linguistica e culturale.
Il Presidio, a Saluzzo, si occupa anche di raccogliere dati e storie che sono elaborati a livello nazionale per mappare il fenomeno e fornire rapporti nazionali in grado di analizzare i cambiamenti maggiori che interessano i territori locali: il risultato è “Vite Sottocosto. II Rapporto Presidio”, un racconto nazionale della filiera agro-alimentare e delle condizioni di lavoro dei braccianti, l’ultimo lavoro di Caritas Italiana sul tema.
Nell’ultima stagione di raccolta della frutta, nel 2018, al Presidio di Saluzzo sono arrivate oltre ottocento persone straniere che sono entrate, durante l’ultima stagione di raccolta, nei piccoli spazi dell’Infopoint: per raccontare la propria storia, ricevere una lettera via posta, bere una tazza di tè, redarre un curriculum vitae, confrontarsi sull’attualità e sui cambiamenti politici.
Con i primi arrivi di maggio, mese in cui si avvia la raccolta dei piccoli frutti, la richiesta iniziale che si raccoglie nell’Infopoin è quella della bicicletta: in assenza di previsioni normative adeguate, l’incontro tra domanda e offerta avviene ancora, necessariamente, sul campo, tra i filari, cascina per cascina; la bicicletta è strumento fondamentale per potersi muovere autonomamente sul territorio ed evitare i servizi di trasporto privati che aumentano la condizione di dipendenza e nascondono, spesso, situazioni di intermediazione illecita, sfruttamento e abusi.
Con l’avanzare della stagione il Presido lavora per offrire un riparo adeguato in cui dormire, una visita medica, il supporto legale per l’ottenimento dei documenti, un aiuto per la mancata retribuzione: le richieste che arrivano in Infopoint costituiscono una precisa fotografia della fragilità e dell’isolamento sociale che accompagnano i braccianti.
La loro vulnerabilità è condizione complessa e stratificata, discende dall’intersecarsi di politiche lavorative, migratorie, sociali.
Le ordinarie pratiche di accesso ai servizi e di tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive si trasformano spesso in “muri di burocrazie”, indifferenze e rifiuti illegittimi: per gli operatori e i volontari che condividono quotidianamente le vicende umane dei braccianti è evidente che la dimensione culturale del nostro tempo renda tollerabile, giustificato, a tratti lodevole la compressione dei diritti e delle prestazioni nei confronti dello straniero, considerato lavoratore di serie B. Un migrante che dai dati raccolti nei diversi Presidi risulta, oggi, fondamentale per i bisogni dei diversi comparti agricoli, è troppo spesso considerato in funzione delle braccia utili, prima che persona.
Durante il Presidio del 2018, gli operatori sono stati presenti al foro Boario, nei luoghi delle accoglienze, nell’ex-fabbrica occupata di via Lattanzi, nei campi durante la raccolta, negli appartamenti privati, così come nei tavoli istituzionali per la costruzione di una rete di enti, locali, che intervengono con politiche strutturali e organiche: il progetto di Prima Accoglienza Stagionali del Comune di Saluzzo e Coltiviamo Solidarietà – Accoglienza Diffusa sono stati i primi passi, ancora da migliorare, di un territorio che vede l’arrivo dei migranti da quasi 10 anni.
La Caritas ascolta, monitora e accoglie, nella convinzione che agricoltori e braccianti possano essere protagonisti di un percorso di legalità che tuteli gli interessi comuni, la ricchezza della nostra terra e la dignità di chi la coltiva e di chi ne raccoglie i frutti.
Virginia Sabbatini e Alessandro Armando, Presidio della Caritas di Saluzzo
Info: www.saluzzomigrante.it
Nonostante l’impegno dei moltissimi volontari e la chiara necessità di lavoratori, l’economia globale s’è infiltrata anche qui, demolendo ogni valore. Metto sullo stesso piano chi oggi preclude la permanenza e chi prima accettava supinamente una situazione che sta di fronte ad ognuno di noi. Perché non s’è cercato di regolamentare con forza queste situazioni paradossali, presso le associazioni di categoria? Situazioni che un tempo riguardavano solo il sud ed oggi sono generalizzate in tutta Italia. Per quanto dovremo assistere impotenti a tragedie come le baraccopoli incendiate o a pulmini zeppi di lavoratori che si sbriciolano contro i tir. Oltretutto con un salario onesto ci sarebbe la possibilità di un minimo di decoro (casa,servizi,ecc) che farebbero vedere questi migrati agli abitanti stanziali da un diverso punto di vista.