Le montagne italiane sono una straordinaria regione ecologica. Le nostre catene montuose costituiscono il più grande corridoio naturale di collegamento tra nord e sud, tra est e ovest. Ne sono la dimostrazione i ritorni e i ripopolamenti da parte di lupi, orsi, sciacalli, gipeti, lontre e tante altre specie ancora. Nelle Alpi ci sono ben 5000 piante spontanee, ovvero i 3/7 di tutta la flora europea. L’ambiente montano è un laboratorio naturale dove si sono sviluppati alcuni dei più notevoli esempi di adattamento degli esseri viventi, compreso l’uomo.
Al loro interno si opera spesso ai limiti delle necessità vitali, in una continua interazione uomo-natura basata su equilibri fragili e peculiari. Territori di straordinaria bellezza ma di durezza spesso insopportabile si sono spopolati non appena se n’è presentata l’occasione, per poi essere ricolonizzati laddove la città ha intravisto la possibilità di clonarsi proprio nelle sue forme meno pregevoli. Superato il XX secolo, forse il peggiore in termini di consumo di risorse e ambiente, ora la montagna si presta a nuove riformulazioni per quel che noi intendiamo un futuro di sostenibilità e di qualità della vita materiale e culturale.
L’importanza che un’associazione come Legambiente, nata con vocazioni fortemente urbanocentriche, ha voluto e vuole dare al territorio montano è il segno di come occorra ricontestualizzare la montagna in una visione non più di periferia subalterna. Da ben 18 anni Legambiente, attraverso la Carovana delle Alpi, le Bandiere Verdi e Nere, i Summit e le tante battaglie di difesa e valorizzazione del territorio e dei suoi abitanti, ha acceso i riflettori sulle Alpi ricavandone un’esperienza multiforme e ricca, pur nelle sue conflittualità. Proprio su queste contraddizioni si vuole agire oggi in un territorio dove, a fianco di nuove e importanti forme di protagonismo volte alla sostenibilità ambientale e sociale, si riproducono abitudini e scelte obsolete, dannose oltre che prive di lungimiranza.
Negli ultimi 150 anni le Alpi hanno registrato un aumento di temperatura di almeno due gradi centigradi, più del doppio della media globale dell’intero pianeta. E, com’è noto, le regioni montuose sono tra le più esposte ai danni del cambiamento climatico: gli effetti ecologici a breve termine dovuti ad ondate di calore, la siccità prolungata con relativi incendi boschivi, vento e precipitazioni intense. In pratica le montagne patiscono in modo particolare tutti quegli eventi climatici estremi di cui nel futuro prossimo è previsto un aumento di frequenza e intensità. Gli effetti si traducono nell’aggravarsi dei fenomeni erosivi, nell’aumento del dissesto, nella perdita della biodiversità e delle produzioni locali, insieme a immensi danni al patrimonio boschivo.
Eventi di tal genere stanno impedendo agli ecosistemi di funzionare al meglio per garantire e tutelare il Capitale Naturale che li compone. E anche se questo processo risulta ancora invisibile alla gran parte dei cittadini e di coloro che governano, potrebbe in futuro minare la base essenziale dei processi economici e sociali per l’intera umanità.
Oggi in Italia il Capitale Naturale è contabilizzato solo in minima parte: non si va infatti molto oltre al conteggio dei flussi di materia utilizzati nelle attività economiche. Ma questo non basta, perché il Capitale Naturale va misurato, rivalutato e, laddove si lavora per il suo mantenimento, remunerato con procedure già sperimentate ed efficaci, come il Payment Ecosystem Services (PES).
E allora rivalutare al meglio le aree montane nelle funzioni che già esprimono significa oggi riconoscere innanzitutto l’immenso valore del Capitale Naturale che possiedono, dando il giusto peso al grande numero di servizi ecosistemici svolti a favore di tutta la popolazione, di montagna e pianura. Tali funzioni in montagna sono il frutto di un continuo intreccio tra uomo e natura: un potenziale che oggi potrebbe aiutare i territori stessi a costruire reddito, dal turismo all’agricoltura di qualità, dalla buona gestione forestale e tutti i servizi resi alla città e al resto del territorio.
E se, come stiamo registrando, il clima cambia, le strategie di adattamento non possono che amplificare il significato dei servizi ecosistemici garantiti dalla montagna. Ma queste strategie presuppongono scelte pianificatorie di ampio respiro con una capacità di visione del futuro ben diversa dai finanziamenti a pioggia, spesso distribuiti per scopi elettorali, volti a reiterare un’idea di passato senza prospettive, oltre che dannosa per l’ambiente. Lo sforzo di tutti noi oggi deve risiedere nel tentativo di integrare elementi ecologici, economici e socio-politici in un quadro necessariamente interdisciplinare, per poi tradurli in azioni concrete, al fine di favorire lo sviluppo di tutte quelle attività virtuose di presidio multifunzionale che si possono e si devono svolgere in montagna.
In poche parole oggi l’ambientalismo deve chiamare in causa la categoria della “responsabilità”, non tanto per affermare il valore intrinseco della natura in quanto tale, quanto per ricordare l’ineluttabilità di un atteggiamento di “cura” da parte di un’umanità che vuole riprendersi il controllo responsabile del proprio destino e con esso, per indubbia necessità, anche quello dei compagni di viaggio, viventi e non.
Vanda Bonardo (Responsabile nazionale Alpi per Legambiente)
Bene. Senza assolutamente avanzare nessuna pretesa di primogenitura ricordo che in questo campo opera da trent’anni l’ associazione Mountain Wilderness- Alpinisti di tutto il mondo in difesa della montagna. Con un ineguagliabile patrimonio di esperienze , di sperimentazioni e di successi. Vedi la fondamentale Carta di Fontecchio alla redazione della quale però…Legambiente si rifiutò di partecipare. Ci auguriamo un reale cambio di rotta.