Nell’estate della montagna impazzano i festival. Musica, cinema, letteratura, teatro, arte: ogni forma espressiva è utile per attirare il pubblico e nobilitare i luoghi. Le amministrazioni locali hanno capito che si tratta della miglior forma di promozione turistica e di solito si affidano ad associazioni, agenzie esterne, interpreti della cultura alpina che progettano, organizzano e promuovono. Le competenze della città s’incrociano con le forze locali, dando vita a una serie impressionante di manifestazioni. Solo sulle Alpi occidentali, cito a memoria tra le migliori: il festival delle Frontiere di Paraloup (Fondazione Revelli), il Richiamo della Foresta in Val d’Ayas (Assocazione Urogalli), le Borgate dal Vivo in svariati borghi (Alberto Milesi), la storica rassegna di PraLibro in Val Germanasca (Rocco Pinto), lo Spettacolo della Montagna in Valle di Susa (Onda Teatro), il nostro Solstizio del Turismo dolce in Val Maira, il Festival Occitamo nelle valli del Monviso, la rassegna Vertigine di Torino Danza (valli Susa e Chisone), la coda di CinemAmbiente in Val Chiusella, il Cervino Cinemountain a Valtournenche, quel che resta di Letteraltura in Val d’Ossola, il festival musicale di Chamois, il festival del documentario naturalistico di Cogne, LetterAria di Torgnon, la Torre di Libri a Torre Pellice, gli incontri culturali e sociali al Musrai di Alpette, le lingue minoritarie di Ostana, eccetera eccetera.
Se si trattasse di manifestazioni minori si potrebbe liquidarle come una moda passeggera, invece parliamo di incontri di alta qualità che attirano migliaia di persone. E quasi nessuno spettatore se ne va deluso, anche se viene dalle città e ha conosciuto la grande offerta culturale. D’estate, sulle Alpi, si può veramente godere le migliori creazioni sulla montagna, e questo è un fatto nuovo perché prima accadeva in pianura. Si potrebbe obiettare, a ragione, che le Alpi sono solo il contenitore geografico di eventi pensati altrove, creati in città, ma che risalgano le valli è comunque un dato. Inedito e positivo.
Però la vera novità sta nel fatto che la cultura montana contemporanea non passa più attraverso i convegni, gli incontri paludati, le accademie, i club alpini, le iniziative politiche di enti e istituzioni, ma muove dalla fantasia creativa. I giovani non vanno ai convegni ma affollano i festival, magari ascoltando le stesse cose in forme e linguaggi diversi. Il rinnovato interesse per le terre alte, così prorompente da riempire le radure e le piazze delle valli, è affidato alle mediazioni artistiche di attori, scrittori, musicisti, registi e autori di ogni provenienza. Il tema alpino è filtrato dal cinema, dalla recitazione, dalla musica, dalla danza e soprattutto dalla letteratura, che è diventata il mezzo più efficace per divulgare il sentimento contemporaneo di montagna, natura e avventura.
Il racconto non trascura la vita dei vecchi e nuovi montanari, e questo è il secondo punto di rilievo. C’era una profonda dicotomia tra chi viveva la montagna per svago e chi ci abitava, le due provenienze alzavano muri e confrontavano lingue inconciliabili, oggi invece, pur nelle differenze, forse nell’ingenua attesa di una new age alpina di matrice neoromantica, le due culture si capiscono. Si sovrappongono, addirittura. È come se la forma artistica e l’approccio narrativo, in una parola il Racconto, abbiano sciolto la vecchia contraddizione introducendo un linguaggio universale della montagna. Traducendola per tutti. Se così fosse sarebbe una grande opportunità.
Enrico Camanni
Trovo molto importante il tema e l’interpretazione che ne dà Enrico. A me pare che le migliaia di persone, soprattutto giovani che affollano i festival sono il segnale di un cambiamento culturale, rivelatore e nello stesso tempo artefice di una nuova centralità della montagna. Certamente la mediazione artistica aiuta a superare la dicotomia tra chi vive la montagna per svago e chi ci abita. Ma penso che il nuovo grande interesse per la montagna sia soprattutto importante perché induce un numero crescente di persone (sia di provenienza urbana, sia native) a vedere nella montagna non solo uno spazio di svago e neppure solo un posto ameno dove abitare, ma il luogo di una possibile scelta di vita anche e soprattutto lavorativa. In questo senso lo vedo come qualcosa che può portare a una reale fusione delle due culture e anche a ridurre lo squilibrio tra montagna e città.
Beppe Dematteis