Val Saviore, convalle del versante orografico sinistro della Val Camonica. È nella parte antica del borgo di Saviore dell’Adamello, a 1200 metri di altitudine, che sorge una delle più attive e longeve case del Gruppo Italiano Amici della Natura (G.i.a.n.), intitolata al politico e ambientalista Alexander Langer. I fondatori sono i bresciani Italo e Marinella Bigioli, che senza indugio definirei tra i pionieri delle esperienze di ritorno alla montagna: è il 1985 quando la coppia, poco più che trentenne e con una piccola figlia di soli tre anni, lascia Brescia e si trasferisce nell’ultimo paese della vallata, via d’accesso privilegiata al grande ghiacciaio Adamello. “Era la metà degli anni Ottanta e noi eravamo reduci da un’intensa stagione di lotte politiche”, racconta Italo in una mattinata di fine agosto. “Conclusa l’esperienza della contestazione, ci rendemmo conto che in città non stavamo più bene e che, spinti dall’amore per la natura e le terre selvagge, era in montagna che volevamo proseguire la nostra vita e rinnovare le nostre energie. Anche se il lavoro ci teneva legati alla città – io come collaboratore in cooperative e mia moglie Marinella come artigiano incisore del metallo – iniziammo a girare per le valli alla ricerca di una casa da abitare nel fine settimana e nei momenti liberi. Su tutti, Saviore ci sembrò un posto molto bello perché immerso in uno scenario paesaggistico unico, ricchissimo di acqua, dall’aria molto buona e non toccato dal turismo di massa. È iniziata così la nostra avventura, affittando una baita a pochi chilometri dell’abitato”.
Due anni dopo, il 1° luglio 1987, danno avvio alla locale sezione del G.I.A.N. aderendo alla Naturfreunde Internazionale, organizzazione fondata a Vienna nel 1895 e finalizzata a promuovere tra le classi popolari un turismo a contatto con la natura in alternativa alla durezza del mondo urbano e del lavoro. L’inizio di quest’avventura non è però affatto facile: la presenza dei soci in un piccolo villaggio non abituato a visite di forestieri diviene presto elemento di discussione nella comunità locale e porta addirittura alla temporanea chiusura della casa. “Grazie a una notevole profusione di energie”, prosegue Italo, “l’esperienza venne gradualmente accettata dagli abitanti di Saviore, che ci riconobbero il merito di valorizzare le risorse locali e di portare un turismo sostenibile e rispettoso. L’adesione allo spirito di lotta e al motto degli Amici della natura austriaci – Bergfrei!, Montagna Libera! – ci vide attivamente impegnati in diverse battaglie a difesa dell’ambiente: la prima fu quella contro il nefasto progetto di asfaltatura della Val Salarno, una delle grandi valli del gruppo Adamello. Non fu facile venire dall’esterno e far passare idee di questo tipo, ma un appoggio ci venne dai commercianti che ci vedevano presenti tutto l’anno con un numero discreto di turisti che facevano le spese qui, rispettosi dell’ambiente, impegnati in pulizie generali dell’Adamello e dei laghetti alpini: i montanari ti giudicano per quello che fai, non per la faccia che hai. Anche i mandriani ci sostennero, preferendo il fondo naturale delle strade su cui conducevano le mandrie in alpeggio. Creammo così un comitato formato da tutte le associazioni ambientaliste di Val Camonica, dai due Club Alpini di Cedegolo e di Edolo, da Legambiente, facemmo un’interrogazione parlamentare sostenuti dai Verdi dell’epoca e da Fulco Pratesi ottenendo un decreto ministeriale che impedì l’asfaltatura della vallata. Fu un fatto dirompente, che ci permise di essere interlocutori della Comunità Montana nella preparazione del piano del territorio del Parco dell’Adamello divenuto legge regionale, dove fu scritto che all’asfaltatura è sempre preferibile il fondo naturale delle strade”. Nel frattempo, la sezione G.I.A.N. va man mano crescendo in numero di soci ed in presenze. Nel 1994 inizia la campagna ‘Un Parco per l’Europa’ alla quale partecipano nuovamente tutte le associazioni ambientaliste camune. Nel 1995, grazie al patrocinio di Alexander Langer vengono presentate all’allora Presidente del Parlamento Europeo Klaus Hänsch più di seimila firme di cittadini per l’istituzione di un grande parco naturale nelle Alpi centrali attraverso l’unione di sei grandi aree naturali – il Parco dell’Adamello, il Parco dell’Adamello Brenta, il Parco dello Stelvio, il Parco delle Orobie valtellinesi e quello delle Orobie bergamasche e il Parco nazionale svizzero in Engadina – accompagnato dal patrimonio culturale rappresentato dai cicli di arte rupestre camuna. “In quell’occasione, Langer ci presentò a Ola e Michael Davis degli Apache San Carlos dell’Arizona, che protestavano contro la profanazione della loro montagna sacra, il Monte Graham, derivante dalla creazione di alcune stazioni telescopiche. Con loro nacquero reciproche stima e amicizia fondate su valori etici e politici comuni, nonché sulla riscoperta dei profondi legami simbolici che intercorrono tra la religiosità pagana e la conoscenza della natura degli antichi Camuni e dei Nativi americani. Coltiviamo un analogo scambio di grande spessore umano, intellettuale e politico anche con i Lakota Sioux e col dottore e monaco tibetano Geshe Lha Tenkiong, che sono spesso nostri ospiti e con cui lavoriamo al dialogo spirituale tra culture e popoli”.
Negli anni a seguire, vengono abbandonate le strutture esterne al paese prese in affitto e viene acquistata una casa nell’antico abitato del paese, adatta a ospitare, oltre ai numerosissimi soci, anche scuole, associazioni, cooperative sociali. “Abbiamo contribuito, nel non breve periodo di esistenza della nostra sezione, a portare idee ed energie nuove sia tra i cittadini che vengono qui che tra i locali, cercando sempre di far crescere la consapevolezza nei confronti della natura, dei suoi equilibri e della relazione profonda, anche se spesso nascosta, che esiste tra tutte le cose. Col tempo anche il rapporto con le persone del posto è divenuto molto buono e l’interazione ricca e proficua: con alcune anziane donne portatrici dell’antica cultura materiale e immateriale locale abbiamo approfondito la conoscenza delle erbe spontanee del territorio e di alcuni riti propiziatori legati ai momenti di passaggio tra i cicli stagionali. La nostra ricerca è stata addirittura di stimolo alla riscoperta di un antico rito apotropaico di una vicina frazione, il Pìsa Ègie del 5 gennaio, quando l’anno trascorso viene simbolicamente ripulito di tutte le negatività facendo risuonare grossi campanacci per le vie del paese”. “Vivere qui è molto economico”, prosegue Italo. “Abbiamo due grandi orti, un campo di patate, facciamo la legna: coi soldi con cui qui vivo per un mese in città non camperei una settimana! Credo che la vera libertà sia proprio questa: la libertà dai bisogni indotti dal mondo urbano e consumistico”.
A conclusione della nostra chiacchierata, mentre mi mostra un grande corno alpino che ha appena finito di intagliare nel legno, chiedo a Italo come vede il ritorno dei giovani alla montagna e ai borghi marginali alpini, lui che di questa esperienza è stato un intuitivo e lungimirante precursore: “In questi anni ho visto alcune persone e famiglie arrivare qui dalla città. Qualcuno è rimasto, qualcuno se n’è andato, magari è tornato. Tutti sono stati ben accolti dalla gente del posto. Facilmente all’inizio è diffidente perché non ti comprende, non decodifica la tua scelta, ma se non sei arrogante nei suoi confronti e riesce a capire la tua vita può essere capace di mostrare un cuore grande. Quando si arriva qui l’importante è non riprodurre alcuni vizi purtroppo diffusi tra i montanari: i litigi, le incomprensioni, le chiusure, la paura della concorrenza. Ormai l’abbandono del territorio è tale che è facile accedere a orti e prati abbandonati, ma ci vogliono lavoro e volontà. E bisogna saper sopportare i silenzi e le solitudini dei lunghi mesi invernali. Devi essere fatto così, apprezzare queste cose. Con l’auto, poi, in un’ora e mezza puoi essere in città e in un’altra ora e mezza tornare nel paradiso terrestre!” E conclude: “Moravia diceva che il mare è fisico, la collina è metafisica e la montagna è mistica. Il mistico ringrazia, l’attitudine che ha verso la vita è di riconoscenza per le piccole cose, per la bellezza della natura, per la tranquillità. Se hai altri bisogni, pur del tutto comprensibili, qui non stai bene, non resisti e devi tornare in ambienti più urbanizzati. Se invece hai l’attitudine a ringraziare per queste cose la montagna ti accoglie. Sempre”.
Michela Capra