Pettinengo accogliente. In molti sensi. Ho intravisto una terra nuova per me: il Biellese e le sue montagne, grazie a un seminario a cui sono stata invitata a partecipare, appunto, a Pettinengo. Era il seminario internazionale di ForAlps (la rete internazionale “Foreign Immigration in the Alps”). È stato un seminario di discussione su l’accoglienza migranti e in particolare l’accoglienza migranti in montagna.
Come coordinatrice dei progetti di accoglienza Sprar Berceto e Unione dei Comuni Valli Taro e Ceno (Pr), ho portato la mia visione da una prospettiva appenninica e allo stesso tempo operativa. Mi trovo sull’Appennino tosco emiliano e le peculiarità montane sul fare accoglienza, sono uno dei nostri incarichi quotidiani come comuni ed organizzazioni.
Si è molto discusso sul significato di montagna, sul significato dell’abitare la montagna e sul concetto di inclusione. Un bel team di ricercatori mi ha stimolato a riflettere su un globale che va in una direzione miope e sulle piccole grandi ricchezze della montagna che, al contrario, possono stimolare sviluppo in un territorio marginalizzato. Si sono toccate anche le tematiche sulle direzioni europee, sui cambiamenti socio economici che riguardano le aree interne, quelle decentralizzate rispetto ad un centro decisionale, e sui nostri abbandoni che, con il tempo, hanno portato a stasi oggi difficili da smuovere.
Mi sono resa conto che l’abbandono del territorio (narrato in modo esemplare nel bel film “The New Wild”, che il regista Christopher Thomson ha proiettato in una delle serate pubbliche previste durante il seminario) è diventato allo stesso tempo il buono e il cattivo che gli abitanti di montagna apprezzano o cercano di combattere.
Vivo in un comune di duemila abitanti, sotto al Passo della Cisa (nella parte emiliana) e l’esperienza dell’accoglienza a me, come a molti miei compaesani coetanei, ha aperto gli occhi su casa mia.
Quello che è difficile per noi montanari, lo è in misura maggiore per i nuovi abitanti. I nuovi “montanari per forza”, coloro che sono collocati in borghi accoglienti, ma che hanno ancora poco da offrire ai propri e ai nuovi abitanti in termini di lavoro e opportunità di impresa. Hanno al contrario molto da offrire in termini di socialità spontanea e di spazi di possibile utilizzo, oltre che la dimensione naturalistica e i ritmi di vita, finalmente umani.
In alcuni luoghi essi sono una ricchezza anche solo per essere presenti: scuole che non raggiungono il numero per rimanere aperte e già organizzate in pluriclassi, ottengono il numero, oltreché esperienze di aperture che cambiano per sempre i bambini che crescono insieme in un’unità multicolore.
I timidi progetti di cura del territorio, come quelli di recupero delle maestranze locali (ne sono un esempio l’artigianato, i muri a secco, le specialità locali prodotte dai migranti) ma anche quelli del ripristino dei canali di scolo dei campi, la cura del bosco, il recupero di tipologie di allevamento in scomparsa… cose che fanno parte radicalmente di una cultura locale in estinzione, ma che purtroppo non sono adeguatamente sostenute dai sistemi di accoglienza troppo incentrati alla presenza temporanea dei beneficiari dei progetti, e ancora poco proiettati in un futuro che ha bisogno di essere investito, non tanto in risorse economiche, ma di mentalità imprenditoriale. Intendo dire con questo l’“impresa del territorio”, fatta insieme alle persone che quel territorio lo abitano: perché sta qui la grande differenza. Abitarlo, un territorio di montagna, non è per nulla facile. Chi ci è nato lo dà perfino per scontato e la scomodità la mette in conto naturalmente.
A fronte della ricchezza apportata dai richiedenti asilo, che solo chi la vede da vicino è in grado di apprezzare, non dimentichiamoci del rischio di offuscare il buon intento con le nostre dimenticanze. Molto spesso, infatti, la nostra montagna è ancora vista come il “confino” in cui porre i problemi che non vogliamo vedere. Il rischio di marginalizzazione dei migranti, in montagna è ancor più forte che nelle anonime città. La lontananza dai servizi (in particolare i servizi di formazione, i servizi professionali e talvolta i servizi sanitari), il diritto alla socialità, il diritto al lavoro, alla cultura, all’assistenza, alla mobilità: sono tutti fattori che rischiano di diventare un ostacolo insormontabile per chi, come un migrante forzato, cerca di fare di questo luogo, un luogo di nuova vita. E di quelle vite, per le scintille di motivazioni elencate rapidamente sopra, ne abbiamo proprio bisogno quassù.
A chi mi ha domandato, durante il seminario “perché ci sono voluti i migranti per aprirvi gli occhi sul territorio in abbandono?” rispondo: perché noi giovani di montagna di questa immobilità non ce ne siamo più accorti, mentre si creava. La mia generazione è addirittura nata in questa immobilità, poiché l’esodo silenzioso è nato molto prima che io nascessi. I miei nonni e i miei genitori l’hanno visto e vissuto l’esodo, io invece lo vedo solo tramite le mie escursioni, ogni volta che incontro un borgo mangiato dal bosco e lo presento ai turisti come i resti di una “cultura in estinzione”. Allo stesso modo mi affascina una cultura in continuo cambiamento, che è poi il senso stesso di Cultura: quello che nasce tra quei massi ritrovati e quello che nasce in una piccola piazza di paese interagendo con il mondo intero arrivato qui, è fatto di una stessa pasta. La nostra.
Osservo i coraggiosi che intraprendono nuove vite e nuove piccole imprese in montagna e mi rendo conto di quanto abbiamo lasciato andare.
La mia esperienza non è sufficiente per comprendere, poiché chi vive qui da tempo lo dà per scontato che la vita in montagna sia soprattutto questo, e ci vuole Micaela con le sue osservazioni a farmi vedere cos’è la mia (stessa) vita quotidiana. Ci vogliono Amadou, Jama, Sarah, Zara, Francis e Mohamed per farmi vedere quante cose abbiamo lasciato andare nei tempi passati. Insomma sono loro che mi hanno dato il cannocchiale per vedere la mia montagna e per farmi accendere la voglia di creare qualcosa di durevole per loro e per me.
Ce lo siamo chiesti anche nel corso del seminario, che ha avuto appunto come tema l’immigrazione straniera e richiedenti asilo nelle Alpi d’Europa, a partire dalle diverse esperienze e modalità di approcciare il tema, caratteristiche di diversi Paesi alpini. Dopo una prima panoramica statistico-demografica e un inquadramento sui nodi concettuali della tematica, hanno preso parte alla discussione vari membri del network (attivo da ormai tre anni, in modo auto-organizzato) provenienti da Università e Istituti di ricerca europei: Università di Pavia, Eurac Research (BZ), Università di Berna (Svizzera), Università di Torino, Università di Innsbruck (Austria), Euricse (Trento), Istituto Federale per zone svantaggiate e montane di Vienna (Austria), Università di Grenoble (Francia), Università della Carinzia (Austria), Cipra international, Dislivelli, Agenzia sviluppo regionale del Voralberg (Austria). Sono stati presentati dunque i casi dell’Austria, della Svizzera, dell’Italia, della Germania e della Francia.
In una seconda sessione, abbiamo approfondito il ruolo dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel cambiare le Alpi (cultural change and social innovation), ed abbiamo discusso il ruolo dei confini e della geopolitica alpina (il tema della nuova frontiera alpina) in rapporto alle dinamiche del cambiamento culturale e della resilienza nelle comunità di montagna; si è parlato poi dello sviluppo regionale, dell’integrazione lavorativa e del mercato del lavoro, della governance e delle relazioni pubblico e privato rispetto al tema dell’accoglienza.
La terza sessione ha voluto affrontare i problemi e le sfide per il futuro. Ci siamo divisi in cinque gruppi e ciascun gruppo ha discusso di un problema specifico, al fine di identificare alcuni nodi, sfide, tendenze comuni, per ricerche e progetti futuri.
Una quarta ed ultima sessione è stata dedicata ai temi della accoglienza a livello locale, alla capacità di resilienza, al concetto di comunità. E’ qui che si sono raccolti gli input e gli esempi presentati da Ong e attori locali e regionali che operano nell’accoglienza migranti nelle Alpi e negli Appennini, tra cui la cooperativa Cadore (Veneto), la cooperativa Cramars (Friuli V.G.), Acli Stuttgard (Germania), Pacefuturo Onlus (Piemonte), Consolida (Trentino), Tsd (Tirolo).
Tra gli impegni presi al termine del seminario, la partecipazione del gruppo alle prossime call europee con alcuni progetti comuni sul tema migratorio alpino, la creazione di un sito web della rete ForAlps e la pubblicazione di un position paper contenente le proposte di policy e le analisi del network.
Maria Molinari