Giuseppe Mendicino, “Portfolio alpino. Orizzonti di vita, letteratura, arte e libertà”, Priuli & Verlucca 2018, 223 pp., 14,36 euro
Cercare la traccia. Quella, non facile né battuta, che può condurre da Tina Merlin a Nuto Revelli, passando da Renato Chabod a Rolly Marchi, per incontrare poi Mario Rigoni Stern e Dino Buzzati, e ancora, Primo Levi, Giovanna Zangrandi, Ernest Hemingway. E molti altri, fra alpinisti, scrittori, politici, guide, soldati. Sino all’unico contemporaneo, Paolo Cognetti.
Nel suo ultimo libro, Giuseppe Mendicino si avventura, e ci apre la via, verso una personale ricerca dei valori che trovano espressione e concretezza nel rapporto di questi uomini e di queste donne con la montagna. Una ventina di storie, condensate ciascuna in poche pagine intense, al confine tra profilo biografico e indagine giornalistica. Narrate con la partecipazione e l’affetto di chi ricostruisce un albo di famiglia.
Questo Porfolio alpino è innanzitutto la presentazione al pubblico di un percorso ideale, di una immaginata e nel contempo reale discendenza dai nostri “maggiori”, come Mendicino li chiama.
Una discendenza non per via di sangue eppure non meno diretta e forte: l’eredità viva e ricercata di un Novecento montano che è capace di raccogliere e di restituire solo chi ha camminato a lungo per le terre alte, sempre con un libro nello zaino e molte domande per la testa.
Che cosa significa, come diceva Hemingway, che la vita e la montagna vanno affrontate con quel coraggio lieve, con quella determinazione anche estrema che tuttavia rifugge dalle drammatizzazioni del grottesco, riassumibile nel motto Grace under pressure?
Libertà, impegno, solitudine. Solidarietà, senso del limite, sfida alla mediocrità e al conformismo. Utopia e una certa dose di spavalda noncuranza. Leggerezza, appunto.
Grazia, anche nel dolore.
Non senza, nelle vite e nelle vicende storiche e private di persone in carne ed ossa, un contrappeso di paure, di sconfitte, di cedimenti, a volte di evidenti contraddizioni. Tutte messe a nudo dal rapporto di queste vite con una verticalità sempre, e a volte ossessivamente, ricercata. Fatte sì di rocce e di ghiacci, ma più ancora di relazioni umane, di verità intraviste, di spazi emotivi da esplorare. Di memorie ineludibili, sino all’ultimo dei giorni dati.
Una montagna che offre appiglio ai valori, come si apre improvvisa al baratro del vuoto, in bilico tra nichilismo ed estasi del sublime. Vertigine che dà la misura e il senso all’esistenza.
“Sono la scelta e il modo di battersi, contro l’ingiustizia e la prepotenza, contro lo scorrere del tempo e la fine dei giorni veri, che rendono certi uomini e certe donne degni di essere ricordati”.
E così li ricorda Mendicino, mettendosi in cammino dall’uno all’altra.
Con l’animo in spalle e un impercettibile sorriso.
Andrea Membretti