La rubrica “Montanari per forza” si trasforma e, nell’auspicio della redazione, allarga i propri orizzonti. Quando un anno e mezzo fa circa Dislivelli ha deciso affidare a Andrea Membretti uno spazio mensile per parlare di migranti in montagna a qualcuno sarà sembrata probabilmente una decisione azzardata. Tutti i mesi ci sarà qualcosa da dire su questo fenomeno? L’accoglienza degli stranieri nelle terre alte ha caratteristiche particolari rispetto alle città o alla pianura?
Crediamo che in questo suo breve periodo di vita la rubrica abbia cercato di fornire una risposta positiva ad entrambe queste domande. La varietà di esperienze, positive e critiche, che riguardano la presenza straniera nelle Alpi e negli Appennini si è rivelata ben maggiore di quanto già intuivamo mentre si scriveva il volume collettivo “Per forza o per scelta”, lo scorso anno. E non sono esperienze di marginalità bensì, spesso, sono storie e dati che ci parlano del ruolo crescente dei migranti tanto a livello di sviluppo locale, quanto in relazione alle politiche (assenti o molto discutibili) che hanno come target gli stranieri in montagna.
Si è poi indagato e raccontato in questa rubrica come la storia dell’inclusione sociale e lavorativa dei migranti nelle terre alte mostri caratteri propri rispetto a quanto avviene nelle aree metropolitane o nelle campagne industrializzate. La quota – con il suo portato in termini di comunità, nuove economie, resilienza ma anche di chiusura, rassegnazione, abbandono – fa la differenza rispetto ai modi e agli esiti dei processi di integrazione.
Oggi non sono poche le iniziative, molte in ambito europeo, focalizzate sul tema migratorio nei contesti montani: in aperta contraddizione rispetto a chi nella Ue vorrebbe ancora le Alpi come frontiera, la stessa Unione finanzia progetti (come i recenti PlurAlps ed Eumint) che puntano a valorizzare la presenza straniera come fonte di arricchimento culturale e come occasione di rilancio produttivo per territori spesso in crisi demografica e vocazionale. Il tema, dunque, è in agenda e questa rivista, nel suo piccolo, ha contribuito alla riflessione, lasciatecelo dire con un po’ di orgoglio.
Ora, mentre ringraziamo sentitamente Andrea Membretti (che ovviamente continuerà a collaborare attivamente con la redazione e nello specifico ad aiutarci a seguire questa rubrica), è giunto il momento di allargare il confronto sulla tematica con i tanti che ormai se ne occupano, lasciando spazio a voci nuove, pronte a raccontare da altre angolazioni il fenomeno e i suoi sviluppi.
La rubrica dunque, da oggi, è di tutti quanti vorranno contribuire a realizzarla, nella convinzione che i tempi siano ormai maturi per lasciarla camminare sulle gambe dei molti che speriamo vorranno animarla.

Cominciamo da Ostana, piccolo comune della Valle Po, situato a 1500 metri sul livello del mare, proprio di fronte al Monviso, il simbolo delle Alpi occidentali italiane. A fine ’800 contava circa 1200 residenti, dediti ad attività agricole, zootecniche e artigiane. Con l’industrializzazione perde gran parte della sua popolazione, arrivando nel 1985 a cinque residenti anziani. Poi dall’inizio del millennio l’inversione di tendenza, grazie a una giunta comunale illuminata e attiva, fino ad arrivare a quota 84 residenti odierni (48 in inverno), di cui sei bambini, e uno nato a Ostana, vero messaggio di speranza per il futuro. Ostana nel giro di 20 anni ha cambiato faccia: un ingresso al paese ridisegnato con materiali a basso impatto architettonico, un rifugio-albergo comunale utilizzato come centro di aggregazione, una palestra di roccia, un centro benessere autosufficiente dal punto di vista energetico e tanto altro ancora. Una trasformazione fisica che ha agevolato il richiamo di persone disposte a spendersi all’interno della comunità: agricoltori, albergatori, ma anche ricercatori universitari, informatici e aziende.
All’interno di questa piccola realtà, parte dell’amministrazione comunale decide di mettersi in gioco con un progetto di accoglienza per richiedenti asilo. Un processo complicato, che non può non tenere conto della parte della popolazione contraria, e che il sindaco, Giacomo Lombardo, racconta in modo chiaro sulle pagine della rivista Novas d’Occitania dell’associazione Chambra D’Oc.

«All’interno dell’Amministrazione Comunale di Ostana l’argomento è stato dibattuto approfondendo varie considerazioni:

– non sono lontani i tempi di quando erano i nostri avi ad emigrare in cerca di lavoro;

– il senso di umanità proprio dell’essere umano e i doveri che ne conseguono; il ricordo del secolare sfruttamento portato avanti per secoli dalle nazioni europee nei confronti del terzo mondo;

– la riflessione che il problema si può trasformare in opportunità, se ben gestito, utilizzando i richiedenti asilo in lavori socialmente utili.

Il Consiglio Comunale ha così deciso di procedere a una convenzione con la Prefettura di Cuneo per accogliere fino a dodici persone. Il processo non è naturalmente stato indolore ed è sorto un gruppo di persone contrario a questa accoglienza che ha cercato di contrastare il percorso raccogliendo firme anche tra chi Ostana non l’aveva mai vista o la vedeva una volta o due all’anno. Le motivazioni erano le più disparate, una, messa nero su bianco, era il deperimento dei valori immobiliari a causa della presenza dei richiedenti asilo. L’Amministrazione ha convocato un’assemblea (con la presenza dell’assessora regionale Cerruti, della Vice-prefetto Bambaggiotti, del sindaco di Ormea, e di altri amministratori) nella quale le urla dei contrari hanno sovrastato le voci di chi era per l’accoglienza, nella migliore consuetudine italiana di chi urla forte quando mancano gli argomenti. […] L’Amministrazione Comunale, dopo opportuni approfondimenti, ha deciso di proseguire nel percorso di accoglienza e qualche mese dopo sono arrivati i primi richiedenti asilo (un fratello e una sorella fuggiti dal Pakistan per persecuzioni religiose). Sono poi arrivati altri quattro pakistani. Il parroco, don Luigi Destre, è sempre stato preziosamente solidale con l’Amministrazione in questo percorso. Non è stato semplice neanche per lui. […] Personalmente sono stato confortato e rafforzato in questa difficile decisione da una visita di tre giorni nella Locride invitato dalla rete Recosol (rete dei comuni solidali) di cui Ostana fa parte. Sono andato per parlare del nostro paese e del suo percorso di sviluppo ma anche del nostro contributo in termini di richiedenti asilo. Ho incontrato, in una terra difficile, condizionata dai poteri mafiosi […], una realtà di accoglienza dei profughi che solo la gente del sud può esprimere con tanta generosità. Ho imparato molto in questi tre giorni. […] Ora i nostri paki, come vengono affettuosamente chiamati, tutt’ora coinvolti in un lungo e non facile lavoro di integrazione e di accompagnamento psicologico, stanno lavorando in paese in attività che il Comune, penalizzato in modo folle dai trasferimenti statali (a fronte di notevoli trasferimenti fatti dagli ostanesi alla fiscalità nazionale) non è più in grado di fare (pulizie abitato, ricostruzione muretti a secco, pulizie cunette e fossati, ecc.) e che salvaguardano in parte l’assetto idrogeologico del territorio. Ovviamente sarebbero necessari consistenti fondi per muovere macchine a lavorare su interventi più grandi per ovviare all’abbandono degli antichi coltivi. Ma passata l’enfasi iniziale che segue ogni evento alluvionale questa enorme problematica torna nell’oblio e sarà riesumata alla prossima calamità. Noi facciamo quello che possiamo».
Maurizio Dematteis

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