Tra i fenomeni culturali in grado di conciliare in un’ottica sempre più responsabile il sapere, la tradizione e il desiderio di rinnovamento di un territorio montano, ritroviamo la dieta alimentare alpina e la sua cucina.
La Dieta Alpina custodisce un patrimonio culturale, identitario e gastronomico unico al mondo, fatto di saperi e riti legati alla quotidianità e alla sopravvivenza del mondo alpino. Elementi peculiari della Dieta Alpina sono sicuramente il suo grano saraceno, coltivato da secoli, a partire dalle comunità ancestrali che abitavano le montagne, i terrazzamenti ricavati dalla montagna per coltivare i prodotti della terra, la coltivazione della vite ad alta quota, il vino, i formaggi, il pane. Altri due aspetti della cultura enogastronomici alpina che accomunano tutte le genti di montagna, sono sicuramente la semplicità e la genuinità delle materie prime e delle loro preparazioni.

Le popolazioni montane vivevano in condizioni di povertà ed erano molto spesso costrette a patire la fame. La loro condizione induceva a usare in modo sapiente e oculato ingredienti semplici. La cucina alpina era quindi essenzialmente una cucina povera fatta per saziare.
Con la scoperta dell’America, nuove specie vegetali approdarono in Europa, portando a quella che si può chiamare “rivoluzione alimentare”, una trasformazione radicale delle abitudini alimentari, che agevolò di gran lunga le condizioni di vita anche delle popolazioni di montagna. Prima di allora si utilizzavano solo i cereali cosiddetti “inferiori” (farro, segale, miglio, o grano saraceno) mentre con la rivoluzione alimentare furono introdotti soprattutto il mais e la patata. Ma la vera rivoluzione si verificò in ambito agrario con un forte incremento di produttività e importanti conseguenze demografiche ed economico-sociali. Le popolazioni di montagna aumentarono, grazie alla diminuzione delle carestie dovuta anche all’introduzione di questi nuovi prodotti, così come le condizioni economiche e sociali migliorarono grazie alle nuove coltivazioni che ben si adattavano al territorio montano. Le popolazioni montanare inizialmente subirono l’introduzione delle specie esotiche come scelta obbligata per superare le epidemie e carestie. Tuttavia, sono queste specie importate la base della cultura alimentare tradizionale delle valli alpine. Dal momento in cui furono accettate, i nuovi prodotti e la loro preparazione riuscirono a integrarsi con la tradizione locale, dimenticando o ignorando gli usi che ne venivano fatti nel loro Paese d’origine. Fu ad esempio con l’introduzione del mais dalle Americhe che la polenta fu per la prima volta cucinata con farina di mais invece che con farina di segale o farro, come veniva invece preparata precedentemente al melting pot alimentare.
L’enogastronomia del territorio montano, frutto di secoli di mutamenti, deve quindi rappresentare “un’identità” per un turismo che vuole vivere la terra dal basso, come il turismo responsabile. La cucina tradizionale di montagna con i suoi prodotti tipici costituisce una rilevante peculiarità e un vantaggio competitivo non indifferente per lo sviluppo di un’offerta turistica di tipo responsabile.
Questa nuova forma di turismo attira visitatori maturi alla ricerca di un legame più stretto con il territorio e le tradizioni locali. Per questo, la cultura enogastronomica di montagna, che ha il potere di raccontare storie di popoli che in quei luoghi hanno lasciato il segno della loro cultura, può essere un volano per la diffusione del turismo responsabile in montagna.
Chiara Mazzucchi