Mercoledì 29 novembre a Cuorgnè, nella suggestiva cornice dell’ex chiesa della Santissima Trinità, davanti a un numeroso pubblico interessato, l’Associazione Trip Montagna ha presentato la prima serie di numeri raccolti attraverso il suo Osservatorio permanente che si avvale dei dati forniti dalle sue associazioni di categoria. Per la prima volta in Italia quella nuova forma di turismo crescente sulle nostre montagne, che qualcuno chiama “altro turismo”, altri genericamente outdoor, altri ancora esperienziale o addirittura responsabile, viene perimetrata con precisione e misurata. Perché di dati sul turismo montano e alpino ce ne sono tanti, in Piemonte come nelle altre regioni italiane, ma nessuno finora è mai stato in grado di estrapolare da queste matrici generaliste la sola offerta di questo tipo di turismo. Eppure riuscire a misurarlo è importante, non tanto per separarlo dalle altre forme di offerta turistica di massa, con le quali invece deve confrontarsi e dialogare, ma perché solo così si può capire se questa nuova forma di turismo è in crescita, con quali numeri e se ha bisogno di sostegno da parte delle istituzioni.
La prima operazione che l’Osservatorio Trip Montagna ha realizzato è stata quella di tentare una definizione precisa di questo nuovo tipo di offerta turistica, definita “Turismo dolce”. Per fare questo ha preso in prestito la definizione del Vicepresidente dell’Associazione Dislivelli Enrico Camanni, già pubblicata in passato su questa rivista, secondo la quale l’offerta turistica sulle Alpi del Piemonte oggi si divide in due tipologie differenti: il turismo di massa e il turismo dolce. Dove il turismo di massa è sostanzialmente quello dello sci da discesa: un turismo intensivo, pesante, universale, esclusivo, basato su scale territoriali sempre più ampie, molto rarefatte seppur destinate all’omologazione, esogeno, corporativo, autoreferenziale e dipendente da fattori esterni e incontrollabili, fortemente stagionalizzato e, infine, risolvibile in un mordi e fuggi. Mentre il turismo dolce è un turismo: estensivo, leggero, relativo, inclusivo, basato su scale territoriali piccole ma dense, endogeno, comunitario, extra-referenziale, destagionalizzato e indipendente da fattori esterni e incontrollabili.
Il turismo dolce si definisce come tale perché ha un approccio di curiosità e di scoperta per i territori, non ricerca la mera riproduzione di una visione di montagna data dalla pianura ma ne scova i tratti caratteristici e le mille sfaccettature; è fatto dai singoli e da gruppi di persone, non dalle grandi S.p.a. o multinazionali; predilige il contatto diretto con l’ospite e lo accoglie mostrandogli che non sempre vi è un camino tirolese ad aspettarlo, ma l’atmosfera appare non di meno calorosa; nell’offerta di turismo dolce sono importanti le attività complementari che ne decretano la polifunzionalità. La sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) non è mero slogan bensì base per la stessa vitalità del comparto.
Il turismo dolce è un’idea di montagna capace di futuro, dolce, leggera e sostenibile: dolce perché ha a cuore il rispetto dell’ambiente alpino, naturale e umano; leggera nella scelta dei mezzi di trasporto e delle attività, che rinuncia alle grandi infrastrutture impattanti e ai divertimenti rumorosi e inquinanti; sostenibile per il territorio, per chi lo vive e per chi lo frequenta, dal punto di vista ambientale, economico e sociale.
Maurizio Dematteis
Siamo del tutto d accordo. Valutare è difficile perché cc e molto nero e le zone da scoprire vanno molto secondo le mode del momento. In alta montagna destagionalizzare è impossibile perché molto condizionato dalla percorribilità delle strade e dai pericoli oggettivi. Inoltre il valore delle strutture pur elevato come investimento in realtà non è percepito dal mercato. Vendere per noi pur con le stelle e mille riconoscimenti, fatturato e qualità, risulta impossibile perché in loco non ci sono investitori e da fuori non c è fiducia. Cosa suggerite dal punto di vista politico?