L’idroelettrico è la più antica e importante fonte rinnovabile nel nostro Paese. È dalla fine del 1800 che questa tecnologia rappresenta una voce consistente nella produzione energetica elettrica italiana. Fino agli anni ’60 circa l’80% dei fabbisogni elettrici italiani era soddisfatto attraverso questi impianti, diffusi soprattutto nelle Alpi. Tuttora il contribuito dell’idroelettrico è consistente, è pari al 15-16% del totale netto dell’energia elettrica prodotta nel nostro Paese. Va rilevato però che l’idroelettrico oggi sta attraversando una fase molto critica e delicata. Le condizioni attuali della risorsa acqua sono modificate, il nostro Paese non si può più permettere uno sfruttamento al pari di quello del XX secolo, quando l’acqua pareva illimitata e il cambiamento climatico ancora non incombeva. Gli eccessivi prelievi a scopo idroelettrico di questi ultimi anni hanno comportato pesanti ripercussioni sui corsi d’acqua. Le quaranta schede del dossier di Legambiente “L’idroelettrico. Impatti e nuove sfide ai tempi dei cambiamenti climatici” raccolte nelle Alpi, su impianti attualmente in attività, insieme alla descrizione di alcuni progetti particolarmente impattanti, rappresentano uno spaccato del pesante sfruttamento al quale sono sottoposti i corsi d’acqua alpini. In tempi molto brevi occorre porre rimedio a questo eccesso d’impianti, anche per evitare nuove pesanti sanzioni da parte dell’Unione Europea.

Questa fonte di energia rinnovabile ha bisogno di nuove regole per poter funzionare al meglio. Occorre intervenire per salvaguardare gli ecosistemi idrici, individuando nuovi criteri di determinazione del Deflusso Minimo Vitale (DMV), o meglio del Flusso Ecologico, della Portata Media e Massima Derivazione della tutela degli ecosistemi fluviali e della manutenzione delle dighe. I recenti decreti D.M.29 di febbraio 2017 (linee guida valutazione ex-ante delle derivazioni) e D.M. 30 sempre di febbraio 2017 (linee guida per determinazione DMV) vanno in questo senso, occorre però renderli più prescrittivi e integrarli, in una cornice d’insieme che tenga in considerazione tutti i possibili impatti sull’intero ecosistema fluviale. La sfida sta nel saper coniugare obiettivi energetici con quelli ambientali. Il “diluvio” di piccoli impianti (con potenza inferiore a 1 MW), scatenatosi negli ultimi anni, ha messo in crisi quasi tutti i torrenti montani a fronte di un’esigua quantità di energia prodotta. I piccoli impianti costituiscono in termini numerici il 69% del totale, ma producono solo il 5% dell’energia idroelettrica, mentre quelli con potenza superiore ai 10 MW pur essendo solo l’8% producono ben il 73 % dell’energia idroelettrica. Per il futuro Legambiente pensa che solo in pochi e limitati casi si possano autorizzare nuovi impianti (reti artificiali e salti esistenti). Per il resto, al fine di mantenere e migliorare la produzione esistente, si ritiene sia indispensabile intervenire sugli impianti più grandi (che sono anche i più vecchi) attraverso il rinnovo delle concessioni con prescrizioni volte ad azioni di revamping ed efficientamento. Il margine di aumento produttivo è davvero consistente, lo dimostra la Centrale idroelettrica dell’ENEL di Soverzene (BL) dove di recente sono state sostituite le quattro turbine. Se funziona una sola turbina (pressione/quantità dell’acqua maggiore) il guadagno in produzione è del 17-18%. Se sono in funzione tutte e quattro le turbine, l’aumento di produzione è di circa 8-10% (da 50 a 55 MW). La maggior produzione con funzionamento delle quattro turbine equivale a circa 20 centraline da 1 MW e, ovviamente, a circa 40 centraline da 500 KW.
Vanda Bonardo

Scaricare il dossier di Legambiente