Per la fauna selvatica alpina l’inverno è il più difficile periodo da superare. Con le basse temperature l’organismo ha bisogno di più energia per mantenere la temperatura corporea e nello stesso tempo va incontro a maggiori difficoltà per quanto riguarda il rifornimento energetico attraverso l’alimentazione, in quanto il cibo scarseggia. Si tratta di un meccanismo selettivo anche se la natura ha previsto che la fauna selvatica viva un periodo di “basso consumo”, con spostamenti minimi per ridurre le perdite energetiche. Per questo gli animali cercano i luoghi in cui il nutrimento sia accessibile con il minimo sforzo, ad esempio terreni con scarso innevamento e con bassa copertura arborea ai margini del bosco. Questa forma di adattamento diventa problematica nel momento in cui un animale viene disturbato e costretto a fughe improvvise poiché a causa dell’aumento del dispendio energetico aumenta anche il fabbisogno di cibo.
Le stazioni sciistiche –in continua espansione nonostante i cambiamenti climatici e sociali in corso – con le loro infrastrutture costituiscono un grosso fattore di pericolo (i cavi e le recinzioni sono spesso letali per l’avifauna alpina, tanto che alcune stazioni d’oltralpe più sensibili hanno iniziato a segnalarli con dispositivi visibili dai volatili). La pratica della discesa in fuori pista (utilizzando gli impianti di risalita) aumenta gli spazi sottratti alla fauna selvatica che un tempo erano limitati alle piste battute, dalle quali la fauna è costretta ad allontanarsi.
La fauna selvatica vede così ridotti i propri spazi che vengono sempre più spesso condivisi con chi pratica discipline invernali all’aria aperta considerate a basso impatto ambientale. L’incremento di scialpinisti ed escursionisti con le racchette da neve sta però facendo assumere a queste pratiche dimensioni tali che non possono non essere considerate in termini di disturbo alla fauna selvatica.
Su questo tema si è svolto a Crodo (VB) lo scorso 19-20 ottobre un seminario organizzato dalla rete delle aree protette alpine Alparc in collaborazione con l’Ente di gestione delle aree protette dell’Ossola nell’ambito del progetto We Wild.
Il progetto intende lanciare una campagna di informazione e sensibilizzazione nei confronti dei fruitori della montagna invernale, per limitare il disturbo alla fauna selvatica. Non si tratta di imporre dei divieti – anche se zone di protezione della fauna costituiscono un valido strumento per la conservazione delle specie animali, in particolare nei momenti critici del loro ciclo biologico – ma di sensibilizzare gli escursionisti all’adozione di alcune regole comportamentali.
Pensiamo agli effetti che gli sciatori fuori pista possono avere su di un branco di camosci nelle zone di svernamento se questi, spaventati, sono costretti a fuggire. Muoversi nella neve costa molta energia e il dispendio energetico aumenta con l’aumentare dello spessore del manto nevoso. Il disturbo arrecato dagli sciatori fuori pista su specie come la pernice bianca o il fagiano di monte nei mesi più duri dell’inverno può mettere a rischio la loro sopravvivenza, influenzando le dinamiche della popolazione.
Tuttavia persone che rimangono sui percorsi segnalati, si muovono in piccoli gruppi, lentamente, evitando le ore crepuscolari e la notte, evitando le zone rocciose libere da neve e quelle aree particolarmente sensibili (zone di riproduzione e di nidificazione) non costituiscono particolari problemi per la fauna selvatica, in grado di adattarsi a queste sollecitazioni. Allo stesso modo tenere i cani sempre al guinzaglio, seguire le indicazioni che si trovano sui pannelli segnaletici, essere di esempio con un comportamento corretto e sensibilizzare i compagni di gita sono buone norme comportamentali. Questo invito a comportamenti adeguati vale ancora di più in una stagione invernale che arriva dopo un autunno terribile che ha già messo a dura prova la fauna selvatica con i numerosi incendi.
A margine del seminario We Wild non ho potuto tuttavia fare a meno di evidenziare come tutti gli sforzi per sensibilizzare escursionisti e scialpinisti saranno vani fino a quando sarà tollerata un’attività come l’eliski, in Italia largamente consentita, persino all’interno di aree protette. In inverno gli effetti sulla fauna selvatica del volo a bassa quota di un elicottero sono infatti ben più gravi anche di quelli generati dal passaggio del gruppo più indisciplinato di escursionisti o scialpinisti.
Francesco Pastorelli