Renata Rossi ha fatto della montagna la sua scelta di vita, diventando nel 1984 la prima donna guida alpina in Italia (fra le prime in Europa). Da più di 40 anni vive con il marito, Franco Giacomelli, anche lui guida alpina, nella Bregaglia italiana dove esercitano la loro attività.
Un tempo ritenuta retaggio degli “uomini”, oggi la professione della guida alpina si è tinta anche di rosa. In passato, avvicinarsi alle alte quote per una donna era considerata cosa impossibile per motivi fisici e mentali (alcuni medici nel XVIII sostenevano addirittura che lo sforzo avrebbe portato alla sterilità). Eppure nel corso degli anni gli schemi si sono rotti, anche se certi stereotipi e pregiudizi sono ancora duri a cadere.
Oggi come sostiene Renata Rossi «l’alpinismo e il ruolo di guida non sono più settore di dominio di un unico genere». Sono finiti i tempi in cui la guida alpina era un rude uomo delle montagne, con la barba imperlata di neve e occhiali da ghiacciaio che mai avrebbe lasciato trasparire il suo sguardo e le sue emozioni. E’ già da un po’, infatti, che le donne si sono avvicinate a questa professione. Un dato confermato anche dal Collegio Nazionale Guide Alpine, secondo cui nel 2016, anche se in netto svantaggio rispetto agli uomini, le donne iniziano a essere presenti tra gli accompagnatori di media montagna con 68 donne su 279 uomini (a cui compete accompagnare i clienti su terreni escursionistici dove non sono richieste tecniche alpinistiche), 12 guide alpine e 5 aspiranti donne.

Renata Rossi, nata a Dogana, una piccola frazione al confine con la Svizzera nella Val Bregaglia, ha deciso di intraprendere proprio questa professione all’inizio degli anni ’80, diventando così la prima donna guida alpina in Italia. Insieme al marito ha esplorato dapprima le montagne del Masino Bregaglia (Albigna e Bondasca) tracciando nuovi itinerari di arrampicata, per poi specializzarsi negli ultimi vent’anni nel canyoning e nei lavori in fune, di cui ancora oggi si occupa con la grinta e la tenacia che hanno contraddistinto fin da subito il suo percorso. Renata infatti a fine anni ’70 prende la difficile decisione di abbandonare gli studi di medicina e psicologia appena iniziati a Padova, per tornare tra le sue montagne, e gestire insieme al marito un rifugio in Val Bondasca. Parallelamente nasce anche la sua passione per l’arrampicata; ed è proprio grazie a questa nuova passione che la sua vita inizia a prendere una forma ben precisa, ossia quella della montagna.
«La città mi opprimeva, avevo bisogno di stare all’aria aperta e a contatto con le persone in un ambiente naturale» – questa la motivazione che ha portato Renata a intraprendere i corsi per diventare prima aspirante guida alpina nel 1981, e poi guida alpina nel 1984.
Durante il suo percorso per diventare guida di montagna più volte si è imbattuta in pregiudizi e stereotipi riguardanti il genere: «la mentalità dell’epoca era sicuramente maschilista» dice Renata. Quando lei e la sua collega hanno passato l’esame di aspirante guida uno dei primi commenti è stato: «Adesso fanno passare pure le donne!».
Alla domanda se sono motivazioni di differenza fisica a fomentare certi pregiudizi e a tenere lontane le donne dalla montagna, Renata risponde con fermezza che le uniche motivazioni esistenti sono di tipo culturale: «Come ben si sa l’economia nelle aree rurali, soprattutto di montagna, è sempre stata portata avanti dalle donne che lavoravano nei campi mentre i mariti erano in fabbrica, e quindi la differenza di forza fisica è solo un pretesto inventato da una società ottusa e patriarcale come è stata la nostra per lungo tempo».
Oggi per fortuna la situazione sembra essere cambiata, il mondo dell’alpinismo è sicuramente più aperto alle donne, e per Renata questo non può che essere un bene.
…Ed è proprio per l’amore per l’alpinismo che non appena superato l’esame di guida alpina, Renata e suo marito hanno iniziato a creare itinerari in alta quota in Val Bondasca.
Sono poi stati i mutamenti incorsi nella società che hanno cambiato i ritmi e le esigenze del turismo di montagna, portando Renata e Franco a esplorare il mondo del cannyoning e dei lavori in fune.
Renata e Franco hanno iniziato ad attrezzare i canyons della Val Chiavenna, che oggi sono considerati tra i 3 più belli d’Europa. «Oggi il canyoning è l’attività che le rende di più, perché risponde alle esigenze del nuovo turista di montagna, interessato all’esperienza e con tempi più brevi a disposizione per trovare svago».
Il rischio del canyoning però, sostiene Renata, è quello di trasformare la guida in un “taxi”, mentre essere guida alpina significa «saper insegnare, e accompagnare il cliente durante la sua esperienza della montagna, facendogli capire il rispetto per l’ambiente», perché instaurare un rapporto di scambio con il proprio cliente, e fungere da guida esperienziale della montagna nella sua totalità e ciò che per Renata conta davvero in questa professione.
Per il futuro, invece, il timore dei sempre più rapidi effetti del cambiamento climatico la intimoriscono: «Se nel passato i cambiamenti morfologici avvenivano nel corso di un secolo, oggi, in soli vent’anni le montagne sono cambiate in modo irreversibile». Ma in parallelo a questa preoccupazione Renata ha notato anche una maggior responsabilizzazione del turista, un segnale positivo che le dà ancora molta speranza.
E all’ultima domanda se ha voglia di andare in pensione e perché non l’ha ancora fatto, la risposta è stata: «E se smetto cosa faccio?, questo lavoro mi aiuta a mantenermi sempre aggiornata», e poi girandosi verso gli stupendi paesaggi della Val Bregaglia, e con le mani aperte, rivolte verso l’alto, mi dice «guardati intorno, come posso rinunciare a tutto questo?, questa è stata la motivazione che mi ha spinto a diventare guida alpina più di 30 anni fa».
Chiara Mazzucchi

Info: www.renatarossi.it