«Delusione e disappunto nei confronti delle istituzioni locali che in questi anni sono risultate totalmente assenti se non un vero e proprio ostacolo alle nostre iniziative». Questa la denuncia forte di Nadia Lotti, responsabile della fattoria didattica Lunalpina di Frazione Gatti, a Castione Andevenno, in Valtellina, che da anni organizza attività per soggetti “deboli”, richiedenti asilo compresi, in una ex scuola trasformata appositamente in centro di accoglienza.
Era l’estate del 2015 quando, su invito della Prefettura, Lunalpina ha accolto 10 ragazzi profughi provenienti da diversi stati africani, e successivamente anche 10 ragazze vittime di tratta. Il lavoro con gli ospiti stranieri è proseguito e nell’autunno del 2015 è partito il “Progetto Accoglienza”, attraverso il quale la struttura valtellinese avrebbe dovuto portare all’autonomia, cioè all’inserimento lavorativo, i 10 ragazzi richiedenti asilo: dai lavori di raccolta erbe e frutti spontanei, all’attività di mantenimento dei sentieri, dall’apertura di un biobar alla creazione di un laboratorio per la realizzazione di conserve. Tante idee e attività accolte con entusiasmo da parte dei ragazzi stranieri coinvolti che vedevano nella possibilità di poter lavorare l’aspetto più importante del loro processo di possibile integrazione in un territorio.
Purtroppo però all’entusiasmo iniziale dei ragazzi e alla disponibilità di Lunalpina hanno fatto eco una serie di malumori da parte di comuni e abitanti della valle, che attraverso la creazione di ogni possibile intoppo e cavillo burocratico hanno reso difficile la vita del progetto, fino ad arrivare alla chiusura di alcune delle attività: il laboratorio per le conserve non è riuscito a raggiungere i “requisiti tecnici”, mentre i profughi assunti nel biobar e nei lavori di raccolta, con il venir meno dei voucher, sono stati lasciati a casa. Ciò nonostante Lunalpina continua con tenacia nella sua opera di accoglienza, e le prossime idee a cui sta lavorando sono l’affiancamento ad un laboratorio già esistente per la realizzazione della grappa all’erba iva, un’erba spontanea tipica della zona, e lo sviluppo di un progetto di biopollaio. Sempre che qualcuno non metta i “bastoni tra le ruote”. Perché il problema di fondo, secondo le persone impegnate nei progetti di accoglienza in montagna, è proprio questo: quanto le istituzioni, a partire dallo Stato centrale che sollecita i privati a offrire nuove forme di ospitalità in zone montane accanto a quelle pubbliche già esistenti, fino ad arrivare ai piccoli comuni alpini, sono disposte a sostenere i processi di accoglienza?
Secondo don Feliciano, parroco di San Pietro Berbenno, l’attuale “problema immigrazione” per la Valtellina potrebbe rivelarsi un’opportunità di contrasto allo spopolamento e all’abbandono. A patto che le istituzioni locali di montagna siano aperte a queste iniziative e interessate, in senso buono, a sfruttarne l’opportunità. In attesa di una risposta istituzionale, il Parroco di San Pietro Berbenno ha lancia il progetto “Nokrì” (parola ebraica che indica il forestiero che si trova solo temporaneamente nel paese), un’azione in tre fasi per promuovere l’integrazione della straniero e coinvolgere le comunità locali: si parte da un sostegno psicologico e spirituale per tamponare e curare i drammi vissuti nel periodo dell’accoglienza, attraverso l’accompagnamento di operatori e professionisti capaci, ma anche coinvolgendo la comunità locale e spingendola ad aprirsi allo straniero, con il coinvolgimento di volontari pensionati e giovani universitari nell’insegnamento della lingua e cultura italiana. Perché come dice don Feliciano «è importante far comprendere l’importanza di comunicare nella lingua del paese in cui vengono ospitati, e di accompagnarli in un percorso di conoscenza e integrazione con la cultura della nostra terra». Si prosegue con lo sport, veicolo di integrazione da promuovere attraverso le società sportive, i gruppi Cai e quelli alpini sparsi in tutti i paesi della provincia di Sondrio, e facilmente coinvolgibili. Per concludere con la promozione di un impegno quotidiano che faccia crescere l’autostima nei ragazzi ospitati, attraverso esperienze lavorative e formative, o lavori socialmente utili. «Si tratta di promuovere accoglienza di poche unità in molte comunità – spiega don Feliciano -. Perché anche una frazione di 300 abitanti può attivarsi per l’integrazione di due ospiti. Il lavoro a contatto con la natura fatta di montagna, piante, animali può rigenerare una persona sfibrata e riaprire la speranza come un germoglio nuovo di vita. Rimettere in funzione i maggenghi e gli alpeggi dismessi, organizzare la raccolta legna attraverso l’impiego semplice e a basso costo di forza animale, organizzare trekking a piedi o a cavallo. Sono solo alcune delle tante attività in cui i migranti potrebbero essere coinvolti e con cui il territorio potrebbe di nuovo essere valorizzato».
Proposte e persone interessate a contribuire all’ospitalità e ai processi di integrazione dei migranti in Valtellina non mancano: ora è arrivato il momento per le istituzioni locali di impegnarsi concretamente nella promozione e nel sostegno di queste buone pratiche di accoglienza in grado di trasformare un’emergenza in una risorsa per tutti.
Chiara Mazzucchi