Quasi due anni fa, era il febbraio del 2015, il piccolo comune di Entracque, in provincia di Cuneo, con i suoi 810 residenti, viene improvvisamente investito dal problema dell’accoglienza dei richiedenti asilo nel nostro paese. Il fenomeno è noto a tutti, campeggia sulle prime pagine dei giornali e viene raccontato, spesso con toni allarmistici, nei tg nazionali in prima serata: 325 mila persone in fuga sbarcate sulle coste italiane dal primo gennaio 2014, più di 100 mila accolti in Italia e così via. La gente è preoccupata per quello che succede a livello planetario, e in linea di massimo solidarizza con i poveri sfollati in fuga da guerre, carestie e persecuzioni. Ma un conto è vedere le notizie sul monitor della tv, un altro trovarsi 40 ragazzi, tutti maschi, giovani e in età da lavoro provenienti da Mali, Nigeria, Senegal , Gambia, Guinea Conakry, Camerun e Somalia, in piazza o per le strade del proprio paese di montagna, dall’oggi al domani, e senza alcun preavviso.
«Nei nostri paesi di montagna se apri una finestra dopo un’ora lo sanno tutti – racconta il sindaco di Entracque Gian Pietro Pepino -, vedere decine di persone che sfilano in gruppo, facce mai viste prima in paese, un po’ di disagio lo crea e bisogna cercare di attenuarlo». Il Primo cittadino si barcamena tra i suoi compaesani, cerca di calmare gli animi, ripete che sono persone pacifiche, in cerca di una prospettiva di vita, anche solo temporanea; ma come rappresentante dell’amministrazione pubblica cerca di non schierarsi tra i “pro” e i “contro” all’ospitalità in valle, perché questo sarebbe controproducente. Anche se come uomo, ormai tutti l’hanno capito, ha un cuore che batte per l’accoglienza e la fratellanza universale. Come il parroco, che in un primo tempo aveva addirittura messo a disposizione i locali della Parrocchia di Sant’Antonino martire, nel centro del borgo, per le lezioni di alfabetizzazione in italiano, ma che poi ha dovuto fare dietro front a causa della ferma protesta di alcuni dei suoi parrocchiani.
«Chi gestisce queste accoglienze non pone assolutamente attenzione a questi aspetti – continua il sindaco – dice che gli ospiti non creano problemi a nessuno. E sono il primo a dire che sono bravi ragazzi, ma che non creino problemi, questo non è vero. Io ho degli anziani che vengono in comune a dirmi che erano soliti andare a passeggiare lungo la ciclabile e ora non lo fanno più. Sono spaventati da questi gruppi di 10 o 15 sconosciuti in giro per il paese. E chi li gestisce non pone assolutamente attenzione a questi aspetti».
Ma chi è che gestisce le accoglienze in paese? Né il comune né una cooperativa sociale, è un imprenditore locale di nome Antonio Coppola, titolare della società a responsabilità limitata Immedia, proprietario del Residence affitta camere “C’era una volta” di Entracque, e di almeno altre due strutture simili a Paesana, Valle Po, e a Rimini, sulla riviera romagnola, dove ospita oltre un centinaio di richiedenti asilo. Antonio Coppola, grazie ai progetti emergenziali gestiti dalle prefetture italiane, all’interno della sua struttura è riuscito a sostituire un turismo ormai in affanno con il business delle accoglienze, che solo con gli ospiti piemontesi, i 57 di Entracque e i 30 a Paesana, a 35 euro al giorno, frutta all’Immedia srl una cifra intorno al milione di euro l’anno. Nulla di illegale intendiamoci, anzi, è anche grazie a imprenditori come Coppola che le prefetture italiane riescono in qualche modo a far fronte all’“emergenza rifugiati”. Ma forse il problema, viene da pensare osservando le dinamiche dei tanti piccoli comuni delle Alpi impegnati nell’accoglienza, risiede nel fatto che nonostante le imponenti risorse economiche messe in campo dallo Stato italiano, quello che manca è un coinvolgimento maggiore nella fase di preparazione del progetto da parte del territorio interessato.
A Entracque il coinvolgimento territoriale è arrivato dopo, a strascico dell’apertura del Centro di accoglienza straordinario (Cas) presso il “C’era una volta”. Nel maggio del 2015 il Comune firma una convenzione con la Prefettura di Cuneo per “promuovere l’integrazione delle persone ospitate” anche attraverso lavoro di volontariato. «L’abbiamo firmata per far vedere alla popolazione che questi ragazzi potevano dare una mano – spiega il Sindaco -. E’ nata così, perché all’inizio si brancolava nel buio e non c’erano ancora tanti modelli da copiare. L’idea che facessero qualcosa pubblicamente, dallo spazzare la strada all’aiutare il vecchietto, pensavamo potesse aiutare la comunità ad accettarli maggiormente». L’operazione funziona, i volontari di colore al lavoro non passano certo inosservati per le vie del piccolo comune, e l’iniziativa si rafforza maggiormente nel giugno del 2016, quando anche il Parco Alpi Marittime, che ha la sua sede proprio nel Comune di Entracque, decide di avviare il progetto “Parco solidale”: «anche noi abbiamo firmato una convenzione con la Prefettura di Cuneo che vale per tutti i migranti ospitati in strutture dei comuni del Parco – spiega Paolo Salsotto, Comandante regionale e provinciale del Corpo Forestale e Presidente del Parco delle Alpi Marittime –, Entracque compreso». I richiedenti asilo sono impegnati nella manutenzione e pulizia della rete sentieristica, tengono pulito il Centro uomini e lupi e in squadre da sei, un giorno alla settimana, vengono accompagnati a lavorare sul terreno da volontari e personale del Parco. «Il nostro intento è quello di riuscire a far confluire questo potenziale umano di persone giovani, volenterose e che potrebbe fare un sacco di cose – spiega il Presidente – con le necessità di manutenzione e pulizia dei territori del Parco. Inoltre abbiamo rilevato che gli ospiti stranieri che sono riusciti a trovare delle posizioni lavorative in valle sono tutti e sempre passati prima attraverso esperienze di volontariato coordinate da noi». Il tutto, spiega, facendo molta attenzione agli equilibri territoriali e a non andare a occupare posti in concorrenza con i residenti.
«In questo progetto crediamo molto – sostiene il Direttore del Parco Giuseppe Canavese – e sottolinea la funzione sociale che un ente come il nostro può avere. Perché il parco non ha solo funzioni di tutela ambientale, ma anche finalità di valorizzazione economica e sociale delle realtà locali».
Il progetto “Parco solidale”, oltre a gestire le squadre di volontari sul territorio, sta lavorando al recupero dei terreni incolti di proprietà del Parco e del Comune di Entracque, sui quali far partire colture montane di qualità, anche con l’aiuto dei richiedenti asilo. «Recuperare i territori montani abbandonati – continua Salsotto – potrebbe essere utile non solo per i migranti, ma soprattutto per la gente che vive qui. Potremmo lavorare a una produzione di qualità con il marchio del parco, combattendo l’abbandono delle attività agricole e incentivando l’economia locale. Ci stiamo ragionando, le possibilità di sviluppo del progetto sono molteplici e mi piacerebbe che “Parco solidale” potesse essere fatto proprio da tutte le aree protette delle Alpi. Proposta che vorrei portare al prossimo consiglio di Federparchi».
Maurizio Dematteis