Giovanni Dalmasso è un “margaro” della Valle Po (To), un allevatore di mucche piemontesi da carne. Ne ha circa 250, comprese una ventina in lattazione, sempre di razza piemontese, per avere latte e derivati da offrire ai suoi ospiti presso l’agriturismo di famiglia Baita Stella, in borgata di Cros Forant, in alta valle Po, a 1700 metri nel Comune di Crissolo. Nel 2012 insieme a una serie di colleghi allevatori di mucche, capre e pecore fonda l’Associazione Adialpi (Associazione difesa alpeggi Piemonte) di cui è attualmente Presidente.
«Noi margari non ci sentivamo rappresentati dalle associazioni di categoria – spiega Giovanni Dalmasso – e proposte e critiche a un sistema spesso vessatorio nei confronti della nostra attività non arrivavamo mai agli interlocutori giusti». I decisori dell’Unione europea, come quelli dei ministeri italiani e i funzionari della Regione Piemonte spesso ignorano le esigenze degli allevatori di montagna e non esistono strumenti diretti di rappresentanza. «Io e i colleghi andavamo spesso negli uffici regionali per spiegare le nostre difficoltà – ricorda l’allevatore della Valle Po – ma prima di costituirci in associazione non venivamo considerati. Con la nascita di Adialpi, con il suo Consiglio, un Presidente e la base sociale, le cose sono cambiate, e il dialogo è partito». I “margari” del Piemonte sono andati a bussare a tutte le porte, dall’università alle istituzioni, e hanno cominciato a promuovere incontri, convegni, pubblicazioni e collaborazioni con tutte le realtà interessate a un futuro sostenibile della montagna. Realizzano persino una pubblicazione semestrale, Adialpi informa, che dà spazio a normative, regole e punti di vista sull’alpeggio, e viene spedita regolarmente per posta a tutti gli interessati (http://goo.gl/vdRl6G/). Ricevendo consensi e appoggio. Oggi i soci sono tanti, hanno raggiunto il centinaio più qualche decina di simpatizzanti, sui circa 500 allevatori di montagna complessivi del Piemonte. E di strada in quattro anni ne hanno fatta parecchia. «Siamo partiti dal problema più urgente del sistema speculativo sugli alpeggi – racconta Dalmasso – e attraverso convegni, comunicazioni e incontri con le autorità abbiamo concorso a far bloccare il sistema del “pascolo conto terzi”». Succedeva che le grandi aziende a partire dal 2000 affittavano i pascoli facendo offerte economiche impossibili per i “margari” che li avevano pascolati fino ad allora. Salvo poi utilizzare in altura le stesse bestie degli allevatori che avevano perso i terreni per mettersi in tasca, loro, i contributi europei (per approfondimenti vedi: http://goo.gl/1JiDdY). Ora l’azienda che si aggiudica l’alpeggio deve avere delle bestie sue, altrimenti niente contributi Ue. «Da quel momento noi margari abbiamo cominciato a prendere un po’ di fiato – continua Dalmasso – anche se la battaglia non è finita, perché di soldi per gli speculatori dalla montagna continueranno ancora a uscirne per anni…». Oggi le aziende truffaldine comprano le bestie per rivenderle a fine stagione, oppure addirittura, in alcuni casi, tiranneggiano i margari che perdono gli alpeggi facendogli firmare contratti capestro in cui si fanno intestare gli animali. «L’unico modo per evitare altre truffe – continua Dalmasso – è che chi porta in alpeggio le bestie oltre che proprietario sia anche “conduttore”. E che ogni anno presenti in Regione un “Piano di pascolo” per migliorare il fondo». Ma se sulla questione del “conduttore” le organizzazioni più potenti non hanno mai appoggiato la proposta di Adialpi, per quanto riguarda i “Piani di pascolo” qualcosa negli anni passati era stato fatto, e la Regione Piemonte sosteneva le spese con fondi Ue. Ma da quest’anno pare che tali risorse non ci siano più. E l’unica speranza di poter continuare il progetto è il sostegno che il Parco del Monviso si è proposto di dare, Parco della cui Consulta fa parte anche Adialpi.
«Poi c’è il problema del lupo – conclude Giovanni Dalmasso – perché non sarà certo lui a salvare la montagna, ma l’uomo. La nostra posizione è che i predatori vadano controllati e se necessario contenuti. E non dimentichiamo le questioni strutturali: viabilità, comunicazione, servizi. Tutte battaglie che Adialpi porta avanti da anni e continuerà a proporre ai governanti per un futuro sostenibile delle terre alte».
Dello stesso parere è anche il professor Andrea Cavallero, della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, che sostiene che «se si parla di agricoltura di montagna in senso lato si pensa immediatamente agli alpeggi, che ne costituiscono la gran parte. E il paesaggio alpino non può prescindere da questi. Qualsiasi progetto di sostenibilità rivolto al futuro delle nostre montagne, accanto al turismo responsabile, ai prodotti tipici, all’artigianato, alle fonti di energia rinnovabili e a quant’altro, deve quindi necessariamente fare i conti con una gestione e un uso responsabile degli alpeggi».
Maurizio Dematteis
Info: www.adialpi.it