Non è difficile prevedere che i rifugi e le altre strutture ricettive isolate (malghe e agritur) giocheranno un ruolo strategico nel turismo del futuro, a condizione che questo imbocchi la strada di una “effettiva sostenibilità”.
Imboccare la strada di un turismo di “effettiva sostenibilità” significa non perseverare nello sviluppo di un modello del turismo basato sul comfort, sulla sicurezza, sulla facilità, ossia su di una qualità di tipo aziendale. Una qualità costruita, provocata, frutto di ingenti investimenti. Una strategia folle che sembra aver dimenticato il principio fondamentale che è il turismo a doversi adattare all’ambiente e non viceversa. Una turismo che porta inevitabilmente alla realizzazione delle cosiddette “città in montagna” e che fa venir meno la qualità prima dell’esperienza turistica: la qualità emozionale. “Effettiva sostenibilità” significa invece dare spazio a questa qualità, ossia alle sensazioni genuine legate all’ambiente e alla cultura della montagna che si provano come turisti. Si tratta di una qualità primigenia che nessuno nega (ci mancherebbe!) ma che gli operatori turistici distruggono con il loro operato alla ricerca di sempre migliori standard di qualità aziendale, per poi tentare di ricostruire, provocando emozioni artificiali, quanto hanno distrutto. Questo turismo che esalta la naturale qualità emozionale si può chiamare anche in altri modi, che evitano quella parola roboante “sostenibile” usata spesso a sproposito da politici ed esperti per dire tutto e niente. Possiamo chiamarlo “consapevole”, per indicare un turismo basato su di un rapporto concreto e genuino fra montanari e turisti. Come dice bene Reinhold Messner, montanari non necessariamente per “nascita” ma anche per “vocazione”. – turisti responsabili che rifiutano il modello di vacanza standardizzato basato sul motto olimpico “citius, altius, fortius” perchè sono alla ricerca di esperienze meno banali e scontate, che Alexander Langer riassumeva nel motto “lentius, profundius, suavius”. Il “catalizzatore” per favorire questo incontro fra montanari sensibili ai loro valori e turisti responsabili consiste nello sviluppo della pratica degli sport outdoor, intesi non solo come sport all’aria aperta ma come sport che non richiedono impianti specifici o propulsori meccanici per essere praticati. Il turismo che ne risulta diventa così culturale e sportivo al tempo stesso: si tratta di un turismo maturo, completo.

I rifugi possono giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo tipo di turismo, nella misura in cui sono dei veri rifugi ossia, salvo le eccezioni esistenti e giustificabili, devono essere raggiunti a piedi, effettuando lo sport outdoor per eccellenza e per tutti: l’escursionismo nelle quattro stagioni.
Ciò che è importante sottolineare è che i rifugi possono e devono giocare un ruolo fondamentale non solo per la pratica dell’escursionismo ma anche in quella di tutti gli altri sport outdoor della montagna, dai più facili ai più estremi. Si tratta in ogni caso di sport in pieno sviluppo, sui quali si gioca buona parte del futuro del turismo montano. Di conseguenza la capacità di fare rete fra i diversi rifugi diventerà fondamentale.
Val la pena di far notare che il turismo consapevole fa riferimento alla stessa tipologia di turista sia in estate che in inverno, mentre il turismo attuale, di matrice consumistica, impone invece al marketing di inseguire tipologie diverse di turisti nelle due stagioni, con ovvia lievitazione delle spese promozionali. Lo sciatore tipo che frequenta le piste autostrade per l’estate preferisce infatti le spiagge delle stazioni balneari all’escursionismo estivo di rifugio in rifugio.
Un problema su cui val la pena di riflettere è quello conseguente al sempre maggiore comfort unito alle sempre maggiori dimensioni dei rifugi, con l’aumento del numero di posti letto e del numero di coperti serviti. Maggior comfort e maggiori dimensioni portano all’utilizzo di personale stagionale con conseguente venir meno di un rapporto diretto fra gestore ospitante ed ospite. La gestione della struttura risulta inoltre più rigida, soprattutto per quanto riguarda i periodi di apertura, che devono essere prefissati e coincidere con quelli dei contratti di lavoro stagionali. Tutto questo dovrebbe far evitare la realizzazione di complesse mega strutture a tre/ quattro stelle, così come dei ristoranti da gourmets in quota travestiti da rifugi, ultima trovata di un turismo di montagna che avendo smarrito il senso delle vere emozioni cerca di provocarle. L’ospitalità dei rifugi dovrebbe essere insomma improntata alla sobrietà e all’essenzialità, al buon gusto, alla peculiarità dell’ambiente circostante. Ciò non significa ritornare ai rifugi-bivacco di un tempo ma puntare su strutture comode e funzionali senza ostentazione di un lusso inutile, a strutture che devono rimanere aperte anche in assenza del gestore, come per i rifugi svizzeri, rivedendo a tale scopo come viene inteso attualmente il “locale invernale”: spesso un’umida cantina-deposito con pochi posti, adatta alla sopravvivenza di pochi sprovveduti.
Altro punto dolente è quello delle normative sempre più invadenti e complesse che interessano soprattutto gli impianti igienici e la sicurezza. Tali normative sono frutto di mentalità cittadine che spesso ignorano le problematiche relative ai rifugi di montagna.
Infine la personalità del gestore rimane senza dubbio l’elemento più importante nella gestione di un rifugio. La sua formazione deve essere a 360 gradi. Una buona preparazione culturale deve unirsi ad una capacità di gestione economico finanziaria della struttura. Anche i piccoli rifugi, anche i rifugi che si basano unicamente su turisti responsabili, devono garantire infatti una redditività adeguata agli investimenti effettuati. Come ogni buon imprenditore il gestore deve essere dotato di entusiasmo e di creatività. Deve anche fare del sano benchmarking, in Italia e all’estero. Scoprirà così come si può realizzare una sauna a botte in mezzo alla neve nei pressi del rifugio utilizzando l’energia solare o la legna del bosco. Scoprirà come si possono gestire razionalmente più rifugi lungo un itinerario ad anello di più giorni. Scoprirà come si può costruire una semplice manovia per far rivivere a tutti l’originario piacere di sciare sui prati adiacenti al rifugio. Scoprirà insomma tante piccole astuzie che possono fare la differenza.
Giorgio Daidola, *Relazione presentata nell’ambito del Seminario “La cultura della montagna: significati e interpretazioni” a cura di Accademia d’Impresa e Camera di Commercio di Trento al Trento FilmFestival 2016