Paolo Paci, “Il respiro delle montagne”, Sperling & Kupfer, Milano 2016
Il giornalista Paolo Paci è uno dei più interessanti divulgatori italiani di montagna perché riunisce alcune doti: brillantezza, competenza, agilità. Fa del giornalismo all’antica in un certo senso, utilizzando gli strumenti del sopralluogo e dell’intervista, e fa una divulgazione di stile e taglio contemporanei, soffermandosi il giusto. Non troppo superficiale, non troppo accademica. Scrive bene, insomma, e sa che cosa scrive.
L’anno scorso il suo libro sul Cervino (“Nel vento e nel ghiaccio”, Sperling & Kupfer) è stato il più interessante lavoro uscito in occasione dell’anniversario della prima scalata, in cui Paci presenta un Cervino a tutto tondo, non convenzionale, molto attuale. Originale. Quest’altro lavoro intitolato “Il respiro delle montagne”, e serve il sottotitolo “Dieci cime leggendarie: un racconto dell’Italia d’alta quota” per capirci un po’ di più, è un viaggio nello Stivale che rilegge la storia d’Italia attraverso dieci liaisons di montagna, da Francesco d’Assisi a Guido Rossa, passando per Lamarmora, Vittorio Emanuele II, Stoppani, Innerkofler, Kugy e Jervis. Paci intende dimostrare come l’identità del Bel Paese sia profondamente intrecciata alle terre alte, anche se l’Italia stessa non se ne rende conto. Santi, eremiti, briganti, re, partigiani e alpinisti hanno scritto pagine di storia viste da un’altezza molto particolare, insieme fisica e culturale, ma anche politica, resistente e interventista. Le stesse differenze tra il Nord e il Sud d’Italia, e le incompiutezze del disegno unitario, corrispondono ai dislivelli economici e culturali della lunga dorsale appenninica.
Enrico Camanni