«Che cosa possono fare le montagne italiane per gli immigrati stranieri, e che cosa possono fare questi ultimi per le nostre montagne?». Con questa domanda provocatoria si è aperto il 25 novembre scorso a Milano il primo incontro di studi dedicato al tema dell’immigrazione straniera nelle montagne del nostro Paese. Un seminario, organizzato congiuntamente da Dislivelli e dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca, che ha visto la partecipazione di una cinquantina di persone tra studiosi e operatori del settore. Sul versante accademico, hanno partecipato antropologi, sociologi, geografi, linguisti e urbanisti; mentre tra gli operatori sul campo, si sono alternati dirigenti locali, operatori legati a comunità religiose della Chiesa Cattolica e Valdese, direttori di enti non profit, esponenti di fondazioni bancarie, sindaci, manager di imprese sociali, funzionari pubblici e giornalisti.
L’incontro è stato il frutto dell’attività di sensibilizzazione e di ricerca sugli stranieri in montagna, che giornalisti e ricercatori di Dislivelli e della Bicocca hanno avviato da alcuni mesi, a partire dalla consapevolezza che si tratta di un tema ancora poco considerato, nonostante il suo impatto mediatico e numerico. Il fenomeno di persone straniere che si trovano a risiedere nei piccoli comuni di montagna richiede invece uno sforzo di messa a fuoco e di riflessione sulle dinamiche e sui fattori che lo vanno connotando. Si tratta di 350.000 stranieri, persone provenienti in gran parte da Paesi extra-UE a forte pressione migratoria, regolarmente residenti, a gennaio del 2014, nei 1.749 comuni italiani compresi nell’area territoriale della Convenzione delle Alpi. A partire dallo scorso decennio infatti, nella gran parte dell’area alpina si sono registrati saldi migratori positivi con l’estero, grazie alla concentrazione di alcune nazionalità in particolari porzioni di territorio, spesso legate a determinate attività produttive, di servizio o di trasformazione, in cui gli immigrati hanno trovato e trovano occupazione.
Accanto a questo fenomeno, oggi, se ne affaccia un altro destinato a rubare la ribalta dei media: l’arrivo di numeri sempre crescenti di cittadini in cerca di rifugio politico nei paesi europei, Italia compresa, in fuga da guerre, persecuzioni e carestie. Una vera e propria emergenza nazionale, che vede coinvolti anche un numero sempre crescente di comuni e organizzazioni sociali nel territorio montano nella corsa all’accoglienza dei bisognosi. Qualcuno sostiene che questa sia un’occasione, e che l’accoglienza temporanea, se adeguatamente accompagnata con progetti per l’inserimento socio-lavorativo, possa divenire definitiva, donando nuove residenze a territori soggetti ancora oggi allo spopolamento. Altri vedono il fenomeno della decentralizzazione delle accoglienze dalle città verso le aree interne come una cosa negativa, un tentativo di “scaricare” i problemi sulle aree più deboli del paese.
Sicuramente si tratta di persone portatrici di culture, progetti di vita, valori e pratiche frequentemente lontani dallo stereotipo di staticità residuale di cui la montagna è vittima ancora oggi. Gli immigrati stranieri appaiono infatti un fattore di innovazione potenziale per le terre alte italiane, laddove, già da ora, sembrano costituire una delle risorse per il loro ripopolamento. Nel contempo, emerge con forza, laddove mancano politiche mirate e non si riesce a coinvolgere il maggior numero di attori locali, il rischio di conflittualità con i residenti autoctoni e di marginalizzazione sociale, in ambiti montani così trasformati in “spazi di retroscena” o di confino, per popolazioni di invisibili e di senza patria.
A fronte di questo quadro, l’incontro di Milano ha inteso innanzitutto riunire intorno ad un tavolo gli studiosi e gli operatori interessati al tema dell’immigrazione straniera da paesi a forte pressione migratoria verso le montagne italiane, sviluppando una riflessione collettiva sul ruolo che questa presenza riveste e può rivestire nei territori in oggetto, rispetto a dimensioni quali: le dinamiche demografiche e il ripopolamento o neopopolamento; l’economia locale e le dinamiche occupazionali; l’innovazione sociale, la creatività culturale e la trasmissione delle conoscenze tradizionali; l’abitare e la dimensione architettonico-edilizia; l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Il tentativo è stato quello di fornire una prima risposta ad alcune questioni fondamentali: quanti sono, da dove vengono e chi sono i migranti stranieri nelle montagne italiane? Quanto si fermano in questi territori, che cosa sanno o possono fare? Quali sono i costi e i problemi dell’accoglienza e dell’integrazione nelle realtà montane e come le amministrazioni e le associazione locali possono farvi fronte? Quali possibili benefici e quali i rischi sono correlati alla presenza degli immigrati stranieri in questi territori? Quali politiche e quali interventi normativi sono presenti e quali altri servirebbero per facilitare la gestione del fenomeno immigrazione nelle terre alte?
Tante domande a cui cercheremo nei prossimi mesi di dare altrettante risposte attraverso la rete nata in seguito all’incontro di Milano tra accademici, operatori sul campo, amministrazioni pubbliche e tutti gli attori che si occupano, a vario titolo e con approcci e angoli visuali anche molto differenti, di una comune tematica. Una rete che vede il suo punto di forza proprio nell’approccio trans-disciplinare al problema e nella contaminazione positiva tra i diversi saperi in campo.
E allora questo numero monografico di febbraio 2016 della rivista Dislivelli.eu, intitolato, un po’ provocatoriamente “Montanari per forza”, è il primo frutto del lavoro realizzato insieme. Un numero dedicato a quei nuovi abitanti delle Alpi e degli Appennini che, pur non avendo scelto di andare a vivere e a lavorare nelle terre alte in base a forti motivazioni ideali o progettuali, tuttavia, parafrasando Luigi Zanzi, sono, almeno in parte, “migranti che si fanno montanari”. Migranti che devono diventare montanari per forza di cose, per necessità di adattamento e di sopravvivenza, temporanea o permanente che sia. Oppure migranti che possono diventare montanari per proprie risorse interiori, per una forza che può assumere i tratti della resilienza nel confronto con un ambiente non facile ma che può offrire opportunità e stimoli. Sempre che, naturalmente, accoglienza e inclusione non siano demandate unicamente all’intelligenza e al cuore delle realtà territoriali interessate, senza che la politica e le istituzioni facciano la loro parte, per creare un contesto normativo e sociale favorevole.
Maurizio Dematteis e Andrea Membretti