Le Valli di Lanzo sono una zona alpina completamente sconosciuta in Germania. Devo cominciare da lontano per raccontare come accadde che nel 1978 scoprii queste valli e molto tempo dopo le conobbi più da vicino.
Il mio interesse per le Alpi si era risvegliato intorno agli anni 1975-1976, quando ebbi l’impressione di poter sperimentare e conoscere molte cose in merito al rapporto fondamentale tra uomo e ambiente in questo spazio estremo. Le relazioni della società moderna con l’ambiente erano per me talmente astratte ed estranee alla realtà, che non vedevo alcuna possibilità di criticarle in modo adeguato e di sviluppare alternative. Ecco perché sorse la mia attenzione verso le Alpi: per conoscere un’altra forma di interazione con l’ambiente, anche se per lungo tempo non ne fui consapevole in modo esplicito, e posso giungere a tale asserzione soltanto a posteriori.
Poiché già conoscevo un po’ le Alpi, sapevo quanto fossero ormai diventate turistiche in molte aree. Pertanto ero alla ricerca di una zona non ancora plasmata e distrutta dal turismo e dallo sviluppo, ma non ero affatto sicuro che luoghi così esistessero ancora. Da libraio di Berlino, quale ero allora e avendo a disposizione tutti i possibili ausili bibliografici, feci quanto mi venne più naturale: mi misi alla caccia sistematica di territori su cui non ci fossero pubblicazioni. In tal modo, constatai ben presto che sulle Alpi sud-occidentali (quelle a sud della Valle d’Aosta) non c’erano libri, guide turistiche o escursionistiche, volumi illustrati né monografie, ma nemmeno carte dei sentieri (notai con irritazione che non esistevano neppure carte topografiche aggiornate in scala 1:50.000 o 1:25.000). Questo destò la mia curiosità.
Nell’estate del 1977 intrapresi dunque il mio primo viaggio in un mondo, a me ignoto, senza aver ricevuto una qualsiasi precisa informazione al riguardo… una situazione insolita, per la verità, in quel periodo per l’Europa occidentale. Passando per Milano e Torino andai in treno fino a Cuneo e poi arrivai, più o meno per caso, nella Valle Vermenagna e in seguito nella Valle Maira. Fui subito affascinato da queste valli, perché trovai proprio ciò che stavo cercando: una parte delle Alpi non sfruttata turisticamente, nella quale potevo percepire e vivere quanto ancora rimaneva del tradizionale rapporto uomo-natura. Questa scoperta mi attrasse.
L’entusiasmo crebbe rapidamente al punto tale che, l’anno seguente, nell’arco di tre mesi (da metà giugno a metà settembre del 1978) attraversai a piedi, con la tenda in spalla, le Alpi da Mentone ad Aosta. Fu così che iniziai a occuparmi metodicamente delle Alpi, attività che dura fino ad oggi, che è diventata un tema centrale della mia vita.
Durante quella traversata, che figurava pressappoco il percorso della futura “Grande Traversata delle Alpi – Gta”, passai anche dalle Valli di Lanzo, un nome mai sentito prima, che lessi sull’allora nuovissima Carta dei sentieri dell’Istituto Geografico Centrale.

Le avvistai dalla cima del Rocciamelone e, poco tempo dopo, da Punta Sulè ne ebbi di nuovo una grande visione d’insieme. Entrai nel loro comprensorio dal Colle della Croce di Ferro e attraversai Malciaussia, Margone, Usseglio e il Passo delle Mangioire fino al Pian della Mussa, dove rimasi per due giorni esplorando i dintorni. Poi proseguii, passando per il Ghicet di Sea, verso Forno Alpi Graie (discesa drammatica, senza sentiero) e Pialpetta, e da lì attraverso il Colle della Crocetta arrivai nella Valle dell’Orco.
La mia impressione fu molto netta: le Valli di Lanzo sono estremamente scoscese (le differenze di altezza tra fondovalle e passi sono maggiori qui rispetto a tutte le altre zone alpine piemontesi che avevo conosciuto) e l’incolto sterile alpino, ossia rocce, ghiaia e ghiacciaio, domina il territorio in modo notevole, mentre i paesaggi antropizzati retrocedono decisamente. L’ambiente mi ricordava le Alpi Marittime, dove la predominanza dell’incolto sterile è analoga, ma le Marittime mi sembravano meno ripide ed estreme, forse anche per i numerosi sentieri e le strade militari che vi avevo trovato. Poiché mi interessavano soprattutto i paesaggi antropizzati per rapporto uomo-ambiente, le Valli di Lanzo non mi piacquero particolarmente; mi fecero un’impressione positiva solo il Pian della Mussa e le pendici intorno ai Rivotti (al di sopra di Pialpetta)…

A parte sporadici rapporti “letterari”, queste valli continuavano a restarmi oscure, poiché il mio interesse principale risiedeva sempre nel sud delle Alpi piemontesi.
La situazione cambiò quando Serena Rosnati di “Turismo Torino e Provincia” chiese a me e a Michael Kleider – mio ex studente di Geografia, oggi stretto collaboratore – se volessimo scrivere una guida escursionistica in lingua tedesca sulle Valli di Lanzo.
Con questo obiettivo, e con la consulenza del Cai – Sezione di Lanzo Torinese, abbiamo elaborato un percorso ininterrotto, poiché gli escursionisti provenienti da oltralpe il più delle volte non sono particolarmente interessati a intraprendere camminate di un giorno, ma vogliono esplorare l’intero comprensorio utilizzando un sentiero che copra lunghe distanze. L’itinerario da noi descritto inizia a Lanzo, direttamente dalla stazione ferroviaria, e conduce all’Agriturismo Salvin, sopra Monastero di Lanzo; attraverso il Monte Bellavarda si inoltra nella Val Grande e sul Sentiero Balcone arriva a Forno Alpi Graie; salendo al Colle di Trione raggiunge Balme e il Pian della Mussa, di lì attraverso il Rifugio Gastaldi, il Rifugio Cibrario e il Rifugio Tazzetti porta al Lago di Malciaussia; superato il Colle della Croce di Ferro e salita la vetta del Rocciamelone, discende e si conclude a Susa (W. Bätzing, M. Kleider, Die Lanzo-Täler. Belle Epoque und Bergriessen im Piemont, Zürich, Rotpunktverlag, 2015).
Il cammino, purtroppo, non è ottimale: prima di tutto il Sentiero Balcone nella Val Grande è in parte mal segnalato (specialmente la discesa verso Forno, che è pericolosa se non si trova il sentiero nel bosco); in secondo luogo né il Ghicet di Sea, né il Passo dell’Ometto sono percorribili da Forno Alpi Graie; infine, abbiamo dovuto far terminare il tragitto a Susa, perché nella Valle di Viù non ci è stato possibile trovare un sentiero diretto che avesse attrattive tra Usseglio e Lanzo. C’è da sperare che in un prossimo futuro questi tratti “critici” vengano colmati, di modo che si possa, in una seconda edizione, descrivere un percorso migliore.
Per la preparazione della guida sono tornato, dopo venticinque anni, nel 2013 e nel 2014, nelle Valli di Lanzo: vi ho intrapreso lunghe escursioni e ho avuto intense conversazioni.
Le mie precedenti impressioni si sono così riconfermate: le Valli di Lanzo sono in effetti caratterizzate da estreme differenze di altitudine e parti estese di incolto sterile, e i paesaggi antropizzati sono ulteriormente diminuiti rispetto a quando le visitai la prima volta. Alcune fotografie della Val Grande, da me scattate dal Sentiero Balcone, mostrano sulle pendici dei monti ormai soltanto superfici boschive chiuse e presentano unicamente sul fondo della valle alcune piccole superfici di paesaggio antropizzato a forma di isola, cosicché utilizzo queste immagini quando intendo mostrare l’aspetto che avevano le Alpi allo stato naturale, ossia prima che iniziasse l’insediamento umano.
Ho constatato anche una certa differenza rispetto al 1978: nel bosco e nell’incolto sterile ho percepito in maggior misura numerosi elementi del tradizionale paesaggio antropizzato che gradualmente scompaiono, seppure presenti in forma residua. Allora, a quanto pare, mi erano sfuggite parecchie di queste tracce, perché non conoscevo ancora molti dettagli delle Alpi piemontesi e dei loro paesaggi antropizzati. Quando però si riconoscono le tracce, l’habitat delle Valli di Lanzo non risulta più così ostile alla fruizione come alla prima impressione. Nella nostra guida abbiamo richiamato l’attenzione in modo mirato su questi segni che passano facilmente inosservati al margine dei sentieri, perché l’escursione così si fa più varia e interessante. Probabilmente, la maggior parte dei visitatori tedeschi avrà al primo impatto l’impressione di trovarsi – fatta eccezione per il fondovalle – in una gigantesca regione selvaggia, è tuttavia importante far notare in modo concreto, sulla base di numerosi residui di utilizzazione, che qui esiste una lunga storia di insediamento e utilizzazione da parte dell’uomo. Questo è tipico delle Alpi e del loro rapporto uomo-ambiente: i paesaggi, percepiti dalla prospettiva della società moderna come del tutto ostili alla fruizione, erano in età premoderna/preindustriale spazi di vita ragguardevoli per l’uomo; e vale anche il contrario: le zone delle Alpi attualmente preferite per l’agricoltura, gli estesi e ampi fondovalle, erano prima quasi inutilizzabili, o solo in modo estensivo, e niente affatto popolati. Troviamo questo mutamento di percezione di natura e paesaggio in tutta Europa, ma sulle Alpi si presenta in modo particolarmente imponente e suggestivo…
E adesso – ovvero solo negli anni 2013-2014 – ho visto e compreso una realtà delle Valli di Lanzo che finora mi era sfuggita. Già nel 1978 mi avevano colpito le grandi centrali idroelettriche nella Valle di Viù e le sorgenti captate del Pian della Mussa, così come il grande (ex) hotel del luogo, e avevo allora interpretato queste costruzioni come espressione del predominio di Torino, città industriale, sulle svantaggiate zone alpine, così come l’Europa fondamentalmente sovrasta lo spazio alpino e lo utilizza soltanto come area supplementare (tempo libero, energia, traffico di transito).
Soltanto occupandomi più da vicino dell’architettura dei numerosi alberghi, delle ville e delle stazioni lungo il tratto Lanzo-Ceres, così come della storia del turismo e delle attività svolte dalla Società Storica delle Valli di Lanzo, ho compreso che il rapporto fra Torino e le Valli di Lanzo non è solo quello unilaterale di predominio della grande città sul suo hinterland, ma esiste pure un altro aspetto: molti torinesi, mediante i loro soggiorni regolari e pluriennali nelle Valli di Lanzo, hanno imparato ad apprezzarle e amarle, sviluppando localmente stretti rapporti sociali e dedicandosi anche alla valorizzazione della loro storia e della loro cultura. Perciò tanti di loro vi sono emotivamente molto legati e si sentono corresponsabili del suo sviluppo e del suo futuro.
Tale situazione è per me qualcosa di particolare nel contesto dell’intero arco alpino: anche se la metropoli Torino, come in passato, predomina sulle Valli di Lanzo, esiste al contempo – naturalmente in forma molto più debole – un secondo, positivo rapporto tra metropoli e Alpi: i cittadini, radicati socialmente e culturalmente nelle Valli di Lanzo, sono presenti sia con le loro esperienze specifiche che con l’apporto di competenze professionali. Tutto questo offre la possibilità, in stretta collaborazione con gli abitanti locali portatori di esperienze e competenze del tutto diverse, di cooperare in modo mirato per la soluzione dei problemi attuali del territorio e per il suo futuro sviluppo positivo.
Personalmente vedo nelle Valli di Lanzo un grande potenziale e, in base alle mie esperienze, in nessun’altra zona delle Alpi piemontesi e soltanto in pochissime aree dell’arco alpino queste capacità sono delineate così fortemente.
Tuttavia ho anche l’impressione, osservando dall’esterno, che questo potenziale attualmente non sia sfruttato al meglio.
Mi auguro che tramite la nostra guida molti nuovi visitatori dai paesi di lingua tedesca scopriranno le Valli di Lanzo e che tale impulso dall’esterno farà sì che il loro potenziale sia rivalutato e rafforzato, in modo mirato dall’interno.
Inoltre spero che, attraverso questa e altre iniziative, i posti di lavoro decentrati potranno essere mantenuti in loco e forse addirittura leggermente potenziati, affinché le Valli di Lanzo possano conservarsi sul lungo termine come spazio sulle Alpi per la vita e l’economia.
Werner Bätzing, contributo tratto da Libellule in volo. Trentenni all’opera oggi nelle Valli di Lanzo, a cura di Marilena Coletti, Bruno Guglielmotto-Ravet, 128 pagine, Società storica delle Valli di Lanzo 2015