Raffaele Alimonta, Rifugio Alimonta, Dolomiti del Brenta, 2580 m, Val Brenta Alta

Molti anni fa chiesi a mio padre Ezio: «Papà, perché hai costruito il rifugio?», lui mi rispose: «Nel lontano 1964 io e il nonno, entrambi guide alpine a Madonna di Campiglio, durante una discesa dalle cime del Brenta, ci siamo trovati in un anfiteatro naturale bellissimo e ci siamo detti, perché qui non realizziamo un rifugio per dare un tetto agli alpinisti e per offrire loro un punto di partenza il più vicino possibile alle meravigliose montagne che ci circondano?»
Cominciò così la storia del rifugio Alimonta. Una volta individuata la posizione ideale dove edificare la nuova struttura, mio papà e mio nonno passarono alla progettazione della stessa. Si trattava di un cubetto con due piani fuori terra e un tetto a una falda quasi piano. Questa costruzione con geometrie semplici e contenute, tipiche dei rifugi alpini dei primi del ’900, venne inaugurata nel 1968. L’anno successivo purtroppo sorsero alcuni problemi riguardanti in particolar modo il tetto semi piano. Si decise quindi di realizzare il tetto classico a due falde e ciò diede la possibilità di aumentare anche la ricettività del rifugio.

Nel corso degli anni la “macchina rifugio” non si è mai fermata, ha infatti vissuto un continuo percorso di sviluppo e miglioramento seguendo le linee del genius loci e dell’ottimizzazione delle risorse a disposizione. Questo non è stato facile, soprattutto per via dell’altitudine (2580 metri) e dell’assenza di strade carrabili.
Da parecchi anni abbiamo a disposizione l’elicottero, ma mi piace ricordare che mio padre e mio nonno costruirono il rifugio Alimonta portando tutto il materiale con i muli fino al rifugio Brentei e proseguendo poi “a spalle” per altri circa 400 metri di dislivello.

Tuttavia il compito del gestore di un rifugio non si esaurisce con il mero pensiero di come realizzare l’edificio. Infatti deve affrontare anche una serie di problematiche legate al mantenimento della struttura al fine di garantirne anno dopo anno l’efficienza e l’uso. Tutto ciò calcolando che il rifugio resta, come nel nostro caso, “abbandonato” per più di 8 mesi all’anno (da ottobre a metà giugno).
Non dobbiamo però dimenticare che il rifugista ha inoltre il compito – che è, dal mio punto di vista, il più importante – di andare incontro alle esigenze della clientela. Oltre a questo, lui deve custodire e tramandare le tradizioni montanare, offrendo ospitalità genuina e sincera.
Il gestore di un rifugio si presenta quindi come una figura poliedrica, che deve affrontare una molteplicità di situazioni. Non tutti sono però “tagliati” per fare questo mestiere, in alcuni casi nemmeno i familiari nonostante il desiderio ricorrente del padre-gestore, che vorrebbe vedere un giorno i propri figli portare avanti questa realtà.
Con soddisfazione di mio papà Ezio, il rifugio Alimonta è ora gestito da me, terza generazione. Molte cose rispetto al passato sono cambiate, ma la passione per la montagna e per l’ospitalità insegnate dai fondatori non sono mutati.
Raffaele Alimonta

www.rifugioalimonta.it