Giorgio Alifredi è il presidente dell’Associazione Alte Terre, nata per far “conoscere la voce di chi vive ancora in montagna”. Neo montanaro, trasferitosi da Torino a San Damiano Macra, in Valle Maira, nel 1995, ricorda ancora quando nessuno, in valle, avrebbe scommesso un euro sulla sua idea di creare un’azienda agricola in montagna. E invece, vent’anni dopo, non solo l’azienda l’ha creata, ma ha fatto rivivere Borgata Podio di San Damiano, dove oggi vivono e lavorano la sua ed altre famiglie: un allevamento di capre, un caseificio, un laboratorio di ceramica, un agriturismo e prossimamente delle camere in affitto. Giorgio è una voce autorevole nel panorama alpino, che ricorda a tutti come sia importante il turismo, ma altrettanto il settore primario per il futuro delle nostre montagne.

Si è opposto fin da subito al progetto del Parco del Viso, e per capire perché sono andato a trovarlo a casa sua, nella vecchia canonica del Podio, dove vive con sua moglie Marta e i loro 5 figli.
«Ricordo ancora una discussione a Crissolo negli anni ’70 – comincia a raccontare -. Io ero un ragazzino e ascoltavo questi discorsi intorno all’opportunità o meno di creare un Parco del Monviso. Alla fine non se ne fece nulla. Perché i residenti si opposero per paura dei vincoli che l’istituzione gli avrebbe creato. Ricordo che allora non riuscivo a capire il loro discorso. E invece…». E invece a vent’anni di distanza Giorgio, con la sua associazione Alte Terre, si è fatto addirittura portavoce del fronte del no. «Il Parco del Viso sarebbe deleterio per il settore primario – sostiene – perché aggiungerebbe altra burocrazia a una situazione già al limite. Sono cosciente del fatto che il turismo sia importante per il futuro di tutti noi italiani. Ma di solo turismo la montagna non vive. E oggi, vi assicuro, fare imprenditoria in montagna è davvero complicato: se devi costruire una stalla, ad esempio, ti fanno impazzire con la burocrazia. E aumentare queste difficoltà non farebbe bene alle valli». Eppure la mission di un parco non è certo quella di complicare l’esistenza a chi ci vive all’interno o ai margini. Si tratta forse, provo ad azzardare, di battersi per una sua buona governance. Non l’avessi mai detto! «Buona governance? Parolacce per dire che si delega ai tecnici. Le guardie non rispondono al sindaco e non sono altro che carabiniere ambientali. Dopo il primo discorso pubblico che ho tenuto per l’Associazione Alte Terre si sono presentate qui al Podio le Guardia ecologiche volontarie di Cuneo con manette e pistola, e mi hanno controllato tutte le carte aziendali. Figurati con le guardie del Parco!».

Okay, può essere pericoloso delegare, ma se l’operazione viene condotta bene può portare benefici anche a chi vive in montagna, provo a suggerire. «No, non sono d’accordo. Perché penso che sia sbagliato come metodo. Il diffondersi di questi modelli di conservazione è l’ultima forma di neocolonialismo. Si creano delle zone in cui ti senti un indiano nella riserva. Questo fa male alla montagna, a chi ci vive. Dici che può portare benefici in termini di turisti? Ma è il metodo sbagliato. Non mi interessa portare turisti nella riserva se poi non mi lasciano lavorare perché la mia attività dà fastidio all’ambiente. Allora avrei altri metodi per fare soldi: potrei comprare latte da fuori e caseificare tutto l’anno. Ma se abbiamo deciso di vivere e lavorare qui è perché abbiamo un’altra idea di sviluppo sostenibile».
Sto per gettare la spugna quando Giorgio tenta un’inaspettata apertura: «Okay, se nel Parco lavorassero persone del posto e venisse amministrato dai sindaci a rotazione, forse potrebbe avere un senso. Ma non con gestione e amministrazione decisa da fuori. Perché se togli la possibilità di espressione a un territorio, quello muore. E togli la speranza ai giovani. Che soprattutto qui sono il futuro».
Maurizio Dematteis