Il 21 novembre scorso, con la XIII Conferenza delle Alpi svoltasi presso il Museo della Montagna di Torino, vi è stato il passaggio di consegne dalla Presidenza italiana della Convenzione delle Alpi a quella tedesca. La presidenza della Convenzione viene assunta, a rotazione, per due anni, dai diversi stati alpini. Non è semplice dare una valutazione dell’operato della presidenza italiana nel corso del biennio 2013-2014. Non è facile a maggior ragione per un soggetto come Cipra Italia che è stato coinvolto ed ha fatto parte, con altri soggetti pubblici e non, del Tavolo di coordinamento voluto dal Ministero dell’Ambiente. Se qualcosa non è stato fatto o andava fatto diversamente dobbiamo sentirci in qualche modo responsabili e condividerne sia i buoni risultati che quelli meno buoni.
Un errore da non commettere assolutamente è quello di porre sullo stesso piano l’operato della Presidenza italiana della Convenzione delle Alpi e le politiche nazionali (ma anche regionali e locali) alpine. La presidenza italiana ha operato soprattutto di concerto con il Segretariato Generale della Convenzione delle Alpi e con le parti contraenti (gli altri Paesi alpini) senza peraltro dimenticare i diversi osservatori e il loro ruolo riconosciuto dalla Convenzione. Va dato atto alla Presidenza italiana di aver sfruttato il suo biennio per far “viaggiare” la Convenzione lungo tutto l’arco alpino italiano, anche in località meno note, e di averla portata fuori dai palazzi romani. Va apprezzato l’impegno a favore del turismo sostenibile, della tutela delle acque e delle foreste, nel fronteggiare il digital divide, nell’affrontare l’analisi dei cambiamenti demografici nel territorio alpino con la consapevolezza del ruolo centrale ricoperto dalla componente antropica, nel fronteggiare il cambiamento climatico. Resta qualche perplessità invece su come anche la Presidenza italiana ha gestito il nodo “trasporti”. In questo caso abbiamo una perfetta sintonia con le politiche nazionali: dapprima i tentativi di modificare il più significativo dei protocolli, poi quello di non ratificarlo, infine quello di renderlo inefficace interpretandolo a proprio piacimento.
Su un altro livello e ben altra valutazione meritano invece le politiche alpine che hanno altri responsabili. Nel campo dei trasporti, oltre alle tristi considerazioni fatte in precedenza riguardo l’interpretazione dello specifico protocollo, le politiche di trasferimento modale sono del tutto assenti a vantaggio delle grandi opere; si progettano nuove linee ferroviarie con l’obiettivo di destinarle alle merci e nello stesso tempo si raddoppia il traforo autostradale del Frejus; si penalizza il trasporto pubblico locale e si riduce il problema della mobilità ad una mera questione tecnologica senza incidere sulla riduzione del traffico. Nel campo del turismo, nonostante tutti gli ammonimenti dovuti agli effetti dei cambiamenti climatici e le potenzialità del turismo sostenibile si continua a spendere denaro pubblico in nuovi impianti di risalita. In molte aree montane permane il problema di digital divide (e pensare che probabilmente con una parte irrisoria dei costi della Torino – Lione si colmerebbe per sempre il gap digitale di tutta la montagna italiana). La prevenzione del dissesto idrogeologico continua ad essere secondaria rispetto agli interventi di emergenza post eventi calamitosi. Le buone pratiche e le molte interessanti iniziative di cui possono andar fieri molti comuni e molti operatori alpini, stentano a diventare prassi.
Come si spiega il fatto che i buoni propositi contenuti nella Convenzione e ribaditi dagli atti della Presidenza italiana non trovino poi che pochi riscontri nella realtà? Con la distanza tra la politica che conta, quella che decide dove destinare le risorse e chi opera, pur con molti limiti, ma con una certa coerenza, sia in tavoli di lavoro internazionali che locali.
Non dimentichiamoci infine che le attuali Parti contraenti della Convenzione delle Alpi settant’anni fa erano in guerra tra di loro. Adesso siedono agli stessi tavoli. Si coordinano, si scambiano dati ed esperienze. Condividono obiettivi, definiscono linee guida e insieme formulano strategie. Però è giunta l’ora che tali strategie vengano fatte proprie dalla politica e trasformate in concretezza.
Francesco Pastorelli