Tutto è cominciato con il progetto interreg Alplinks al quale hanno partecipato i comuni di Zermatt (capofila svizzero), Valtournenche (capofila italiano), Ayas, Gressoney-Saint-Jean, Gressoney-La-Trinité e Fondazione Montagna Sicura. Con questo progetto si sono voluti attirare fondi europei al fine di verificare «le opportunità di creazione di un sistema di trasporto multimodale che metta in connessione le due grandi aree turistiche integrando un sistema di offerta di mobilità che unisce Zermatt, Cervinia-Valtournenche, Val d’Ayas e Valle di Gressoney» (Project Charter-comune.valtournenche.ao.it).
Che cosa significa in concreto? Fare uno studio per creare un collegamento, al solo fine sciistico, tra i due già grandi domaines skiables Matterhorn-Cervino (350 km) e Monterosa Ski (180 km), formando un maxi comprensorio da 530 km di piste.
Questo studio è stato affidato alla società canadese Ecosign Mountain Resort Planners Ltd (quelli che hanno curato, ad esempio, il progetto dei giochi di Sochi) la quale dovrà presentare per fine dicembre il master plan. Quello che già si sa è che si parla di un progetto da 65 milioni di euro e che il collegamento passerà necessariamente per il vallone di Courtod che sale da Saint-Jacques in Val d’Ayas al Colle superiore delle Cime Bianche.
Il dibattito si è ovviamente subito scaldato e contro il progetto si sono schierate molte importanti associazioni (Agrap, Cai Piemonte, Cai Tam Piemonte Valle d’Aosta, Italia Nostra Piemonte e Valle d’Aosta, Le Ciaspole, Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, Mountain Wilderness Piemonte e Valle d’Aosta, Pro Natura Piemonte, Wwf Piemonte e Valle d’Aosta, Giovane Montagna sezione di Pinerolo) riunite nel coordinamento “Noi nelle Alpi”.
Cercando di considerare la questione evitando i soliti dualismi ideologici che viziano tutti i dibattiti in Italia, si tratta di capire se alla base c’è un’idea di montagna capace di futuro oppure no. Prima di valutarne l’opportunità ambientale bisogna porsi un paio di domande che stanno a monte: serve un simile progetto? È veramente la soluzione indispensabile all’economia delle valli coinvolte, in particolare della Val d’Ayas?
I soldi da dirottare su questo investimento non sono pochi a fronte però di un’industria dello sci che, pur conservando ancora numeri importanti, non è certo in crescita: i bilanci delle società che gestiscono gli impianti di risalita sono ormai in cronica perdita. È di qualche settimana fa la notizia che la Regione Valle d’Aosta ha autorizzato la ricapitalizzazione della società Monterosa spa (si tratta della partecipata regionale che gestisce il comprensorio Monterosa Ski) in previsione della presentazione del bilancio che si preannuncia ancora con forti passivi. Il problema non è tanto il numero di passaggi sulle piste, ma i sempre più onerosi costi di gestione. Se neanche l’aumento ipotetico del numero di ski pass garantirebbe con sicurezza un bilancio in attivo, qual è il senso dell’investimento per creare un maxi comprensorio?
Qualche dubbio sul fatto che questa sia la direzione giusta in cui indirizzare soldi pubblici comincia a farsi strada. Uno dei motivi che sta mettendo in difficoltà lo sci è anche il sempre più alto esborso da sostenere per accedere alle piste: sempre meno persone possono permetterselo. Se adesso un giornaliero per l’area Monterosa Ski (Alagna, Gressoney, Ayas) costa mediamente 40 euro, in quanti vorranno acquistare skipass ancora più costosi e solo teoricamente sfruttabili (difficile infatti pensare di sciare lo stesso giorno su tutte le piste di Zermatt, Cervinia e del Monte Rosa…)? Viene da chiedersi se l’offerta per lo sci non sia già sufficiente e se sia la mancanza di chilometri di piste il motivo per cui sempre più potenziali turisti scelgono di fare altro nei week-end invernali.
Il dubbio che la monocultura dello sci sia la scelta opportuna diviene ancora più forte se si capita in Valtournenche o Val d’Ayas (come, purtroppo, in tante altre valli delle Alpi) a metà settembre o ad aprile dopo la chiusura degli impianti: sembra di stare in una città fantasma e la lamentela comune dei residenti è che sempre più si è costretti a lavorare a ritmi altissimi, ma solo per poche settimane d’estate e per il periodo dei ponti e delle vacanze invernali.
A tutto questo aggiungiamo pure che il vallone di Curtod è di notevole bellezza e importanza naturale (fa parte di una zona a protezione posta lungo le rotte di migrazione dell’avifauna, definita Zps), è uno dei pochi angoli delle valli del Rosa non intaccati dall’industria dello sci che può ancora raccontare una millenaria storia di rapporto uomo-montagna in cui la conservazione dell’uno e dell’altra era la regola e il senso del limite: la bussola. Difficile credere, come sostenuto dai progettisti, alla teoria del basso impatto ambientale, senza considerare che anche tutta la zona di Saint-Jacques dovrebbe subire trasformazioni per accogliere le ipotizzate ondate di sciatori.
Torniamo quindi a sottolineare l’importanza, oggi, di poter ragionare di Sweetmountains, di montagne dolci, perché è quello di cui c’è bisogno: un’economia per la montagna che non lasci l’amaro in bocca. Caratteristica del dolce è quella di arrivare al punto giusto per far partire la festa: è questo il momento di servirlo e gustarlo con le scelte che si fanno ora, perché dopo potrebbe essere tardi. È una ben triste immagine quella del dolce che giace intatto sulla tavola ormai abbandonata dai commensali stanchi di aspettare, sia ospiti che padroni di casa.
Luca Serenthà
Sono dell’idea che si tratti di un progetto da non prendere proprio in considerazione.
Conosco la zona della Val d’Ayas interessata e penso debba essere conservata allo stato attuale, basta distruggere l’ambiente per creare strutture costose, inutili e dannose.
Lo sfruttamento di quelle aree della Val d’Aosta è già notevole, anche eccessivo; si sviluppino invece attività alternative e più rispettose dell’ambiente e si incentivi un turismo che non consumi il territororio ma collabori al suo mantenimento.