Uno dei tre momenti di confronto in occasione della due giorni “Alpi oltre la crisi” è stato dedicato alle nuove forme di turismo. Come organizzatore e moderatore di quello specifico tavolo di lavoro non ho voluto limitarmi a lasciar esporre le interessanti esperienze ad alcuni operatori del territorio, ma ho provato a stimolarli a qualche riflessione sui segnali di crisi che inizia a mostrare il turismo della neve, sulle esigenze di avere una distribuzione delle presenze turistiche spalmata su lunghi periodi, sfruttando maggiormente le mezze stagioni, e sul fatto che non ci sia una vera e propria “identità” attorno alla quale la valle si caratterizza dal punto di vista turistico. Quest’ultimo aspetto non è di per sé un limite, anzi. Come dimostrato dalle risposte pervenute da parte di operatori e amministratori, ci sono diverse “immagini” del prodotto turistico Valle di Susa: dalla Sacra di San Michele al forte di Exilles, dalle fortificazioni alle strade militari d’alta quota, dal Rocciamelone all’Orsiera e alle montagne innevate, dalle pareti rocciose ai boschi ricchi di fauna selvatica, alle piste da sci della Via Lattea. Un collage di elementi che necessita forse di migliore organizzazione, ma che nel loro insieme possono costituire l’offerta turistica di un territorio.
Le esperienze illustrate, le cosiddette nuove forme di turismo incentrate su una fruizione soft del territorio, non avranno l’ambizione di potersi sostituire al turismo invernale (la dimensione in termini di presenze e di fatturato, ma anche di costi, è troppo diversa), ma possono andare a colmare quei vuoti che si vanno generando e a diventare strategicamente il punto di forza di un sistema turistico che ha già mostrato i propri limiti.

La consapevolezza di dovere costituire un sistema territoriale assieme ad altri operatori, la conoscenza del territorio e delle sue peculiarità da parte di gestori di rifugi alpini, accompagnatori naturalistici e altri piccoli operatori che talvolta si sono re-inventati un mestiere o che si sono adattati ad alternare diverse attività nelle stagione, costituisce una base solida dalla quale partire.
Il laboratorio sul turismo della Valle Susa è stato interessante e stimolante proprio perché riferito ad un territorio sì a vocazione turistica, ma con molte contraddizioni: dalla fortissima concentrazione di presenze invernali al numero sproporzionato di seconde case di alcune località; una valle attraversata da una linea ferroviaria internazionale, ma con carenze sistematiche del trasporto pubblico locale. Possedere un’estesa rete di strade militari d’alta quota, ma non aver ancora deciso a quale forma di turismo destinarla. E poi non si può dimenticare il contrasto tra il fondovalle caratterizzato da uno sviluppo urbanistico di cui si è forse perduto il controllo e i ripidi versanti con le valli laterali caratterizzati invece da un elevato grado di naturalità, ma anche dall’abbandono. Il fatto che della cosiddetta eredità olimpica sia rimasto poco (ma non dovevano essere i Giochi l’occasione per trasformare il modello turistico delle alte valli Susa e Chisone da stazioni sciistiche per pendolari del fine settimana in stazioni turistiche di alta qualità vive tutto l’anno?). La relativa vicinanza con un’area metropolitana, con i suoi limiti e le sue potenzialità, che ha generato finora soprattutto turismo di prossimità. Sono tutti fattori da prendere in considerazione quando si ragiona di economia turistica, e che obbligano operatori e amministratori anche con idee diverse a cercare di costruire sinergie e non più a operare per compartimenti stagni se non addirittura in conflitto.
Francesco Pastorelli