Aprire la due giorni di Oulx dei primi “laboratori alpini contro la crisi” cominciando dalla “A” di agricoltura è stata una scelta interessante, aggiungerei opportuna. Assai nutrita la presenza di giovani e tra questi (con mia grande soddisfazione) diversi studenti ed ex studenti di vari corsi universitari “agrari”, incluso l’interfacoltà “alpino”, confermando l’interesse e l’attenzione per questo settore. Alcuni di questi ragazzi, già attivi in Valle di Susa, hanno portato con entusiasmo le loro esperienze. Il trend è ormai sotto gli occhi di tutti: il crescendo di un fenomeno che era da attendersi. A Torino quest’anno sono state quasi mille le iscrizioni al test dei corsi universitari di area “agraria”, recente obbligo a causa di un numero programmato resosi necessario anche per questi corsi di laurea.

Proprio in montagna l’agricoltura può avere una certa attrattività e diventare via preferenziale per aiutare un ambiente spesso trascurato. Così d’altronde è sempre stato: le attività rurali hanno consentito di proteggere e rinnovare delicate risorse di un territorio fragile. Osservare oggi la montagna, specialmente alle quote intermedie, abbandonata e degradata, fa male a tutti. Molti giovani se ne stanno accorgendo ma in modo diverso da chi spesso si limita a considerazioni nostalgiche, di “passatismo”, poco utili. Ad Oulx se ne è parlato grazie ad una occasione molto partecipata, mettendo a confronto numerosi soggetti attivi sul territorio per portare racconti di esperienze innovative e cercare di far riscoprire in modo avvincente valori che non devono essere ignorati. In questo fenomeno di risveglio si può osservare “qualcosa” di diverso rispetto al passato. Più di trent’anni fa si parlava di Agraria come della “facoltà” del futuro. Me lo ricordo bene, ero un giovane studente. Nelle aule magne delle vecchie sedi (ed eravamo in tanti: trecento, quattrocento?) stretti, spesso in piedi. Gli obiettivi formativi avevano orientamenti un po’ diversi da quelli odierni e si parlava meno di ambiente. Ricordo tuttavia che alcuni professori mettevano già in luce il problema dell’abbandono della montagna, iniziato da un paio di decenni con i primi fenomeni di spostamento verso i grandi centri urbani. Oggi si torna a osservare un lento, impegnativo quanto coraggioso, riavvicinamento al mondo agricolo, con attenzioni nuove e particolari. Per spiegare questo viene sovente usato il termine “ruolo ecosistemico” di queste attività, ma anche di quel paesaggio montano disegnato dall’uomo nei secoli. A fianco di una produzione che deve esaltare la qualità, unica, che possono riservare solo questi territori, occorre, nel contempo, richiamare il ruolo di regolazione e di controllo ecologico di variegati ambienti e preziosi “habitat”, la protezione della biodiversità e, non ultima, la ricchezza delle componenti sociali e culturali. E’ necessario dunque un ritorno “ragionato” per affrontare una “crisi” che ha portato, come ben sappiamo, gravi effetti su famiglie, imprese e la società in genere. Si tratta di un recupero della “qualità” di diverse iniziative del territorio dove la componente rurale torna ad avere voce importante. Le attenzioni “nuove” e in più direzioni sono espresse dalla ricchezza di informazioni in chiave motivazionale che ci vengono fornite da molte giovani imprese.

E’ stato emblematico sentire ad Oulx il rappresentante degli apicoltori dell’Alta Valle di Susa richiamare la qualità del miele di montagna ma anche la necessità di un controllo “diverso” e più consapevole dei fenomeni che mettono a rischio sanitario queste produzioni. Nonché ascoltare le esperienze di coltivatori che introducono nuove specie officinali come la lavanda o che riportano antiche varietà orticole e frutticole locali meglio difendibili perché più adatte a questi ambienti. Giusto richiamare la qualità unica dei prodotti lattiero-caseari di montagna sottolineando l’importanza del benessere e della longevità degli animali allevati, tutti appartenenti a razze autoctone privilegiate dagli allevatori per adattabilità e rusticità. Si tratta di attività agricole ma, allo stesso tempo, di inestimabili “servizi” che in modo diverso contribuiscono alla qualità degli ambienti grazie a numerose interazioni positive.
Un contributo, quello di Oulx, particolarmente importante in un anno, il 2014, dedicato dalle Nazioni Unite all’agricoltura famigliare, naturale protagonista proprio in questi territori. Forse una strada da seguire che può davvero aiutare questa montagna che con crescente evidenza ha bisogno di essere curata, protetta, ma anche “coltivata”.
Luca Battaglini