Potrebbe sembrare paradossale, ma tra le montagne delle valli Chisone e Germanasca (To) è nata una piccola iniziativa economica che, dopo una gestazione di oltre 20 anni, è giunta a maturazione proprio in questi ultimi anni contraddistinti dalla crisi.
Parliamo di un vino, il Ramìe, che si pronuncia con l’accento sulla “i” e non sulla “e” come si sente spesso. Un esempio di cosiddetta viticoltura eroica nei comuni di Perosa Argentina e Pomaretto, a una quota tra i 600 e i 900 metri, lungo pendii estremamente ripidi contraddistinti da terrazzamenti a secco. Li si può osservare all’imbocco della Val Germanasca, incombenti sulla strada di fondovalle, eretti lungo il versante pietroso esposto a meridione. La tradizione vinicola antichissima, risalente all’epoca medievale, subì alla fine dell’800 un colpo mortale dalla pandemia della filossera per poi rinascere nel secondo dopoguerra raggiungendo dei livelli qualitativi discreti tanto da essere citata dal grande critico Luigi Veronelli che scrisse a proposito del «Ramiè (sic). Bel colore rosso rubino, delicato profumo. Sapore giustamente asciutto, fine, gustoso». Erano tempi in cui la maggior parte dei terrazzamenti erano abbandonati e alcune sparute famiglie coltivavano le vigne per passione, producendo il vino prevalentemente per l’autoconsumo.

«In realtà le cose si sono trascinate in questo modo fino a pochi anni fa – esordisce Danilo Breusa, sindaco di Pomaretto e presidente del Consorzio Produttori Terre del Ramie – nonostante la denominazione Doc sia stata ottenuta già nel 1996 all’interno della famiglia “Pinerolese”. In una prima fase sono stati due produttori, Daniele Coutandin e l’agriturismo La Chabranda, a raccogliere i frutti del prestigioso riconoscimento. Poi nel 2003 la Provincia di Torino ha finanziato la costruzione di una monorotaia per facilitare il lavoro e la vendemmia. Finalmente, nel 2009 quando sono stato eletto, abbiamo deciso di dare una svolta più decisa alla situazione riunendo i piccoli contadini che ancora coltivavano le terrazze sopravvissute all’interno di un consorzio».
Il nome della Doc è “Pinerolese Ramie”, composto prevalentemente da un vitigno particolare e di estrazione montana come l’Avarengo insieme a minori quantità di Neretto di Bairo e Avanà. La vinificazione è stata condotta per tre anni, in maniera sperimentale, a Chieri presso l’istituto Bonafous della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino. Successivamente, per dare all’iniziativa una collocazione più local, il consorzio ha trasferito il processo di trasformazione delle uve in vino presso l’istituto Malva Arnaldi di Bibiana.
«Il lavoro con l’Università ci ha consentito di migliorare la qualità del nostro vino e di aumentare progressivamente la produzione da 1000 a 4000 bottiglie. Ma il valore aggiunto derivato dalla creazione del consorzio è legato a una gestione collettiva di aspetti delicati come la vendita del vino e l’accesso a finanziamenti per la manutenzione dei muri a secco e delle vigne. In questo senso, il nostro Ramie è ormai presente nei bar, nelle osterie e nei ristoranti del circondario e fornisce ai turisti che frequentano le valli un’esperienza aggiuntiva di conoscenza delle eccellenze del territorio. Inoltre, tramite il Gal siamo riusciti a ottenere dei finanziamenti europei per la manutenzione dei versanti su cui crescono le viti. Questo aspetto non è secondario dal momento che l’abbandono dei terrazzamenti comporta problemi di dissesto idrogeologico che ricadrebbero sulla collettività. Le risorse che stiamo faticosamente mobilitando non sono in grado di creare un’economia florida – parliamo pur sempre di piccole somme di denaro con cui integrare un reddito famigliare –, ma tra il lavoro di manutenzione del territorio e i ricavi della vendita di vino, speriamo di garantire delle prospettive ai giovani della valle».
Simone Bobbio

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