«L’obiettivo è molto sfidante» dichiara Roberto Moriondo, responsabile della Direzione innovazione, ricerca, università e sviluppo energetico sostenibile della Regione Piemonte. Che tradotto vuol dire: sarà molto difficile che gli obiettivi 2020 fissati dalla Ue in materia di copertura con la banda larga, Internet per intenderci, riescano ad essere raggiunti in Italia, e in Piemonte. Le indicazioni comunitarie dicono infatti che entro tale anno il 100% della popolazione dovrà essere raggiunta da un servizio di banda larga con almeno 30 megabit. Aumentando il rischio di digital divide tra città e “aree interne”, valli alpine comprese.
«Con il progetto regionale Wi Pie, partito nel 2006, abbiamo portato la banda larga ad almeno 2 magabit su tutto il territorio piemontese», sostiene il direttore, «tanto che il caso piemontese è stato preso a modello a livello nazionale nonché internazionale, grazie al progetto europeo B3 Regions che ha creato un network di 16 partner di otto regioni europee con l’obiettivo di trasferire e condividere il know how sul tema dello sviluppo della banda larga in aree remote, rurali e meno sviluppate, attraverso i programmi operativi 2007-2013 e adattarle rispetto ai bisogni specifici delle politiche di sviluppo regionale». E in effetti bisogna dare atto al progetto Wi Pie di aver risolto in gran parte il digital divide piemontese, anche se ancora oggi è proprio in montagna che permangono i problemi maggiori. «Dei 1206 comuni della nostra regione – spiega Vittorio Vallero, della direzione Architetture e innovazione del Csi Piemonte – ben 1050 sono stati raggiunti dalla banda larga. Ma i restanti 156 sono praticamente tutti in territorio alpino». E se gli sforzi congiunti di chi opera in Piemonte per eliminare il digital divide sono ancora concentrati sul tentativo di eliminare le ultime “sacche di resistenza” alla connessione adsl, le nuove indicazione comunitarie rischiano di far nascere un nuovo divide, praticamente, con le attuali tecnologie, impossibile da superare.

«Il contesto nazionale legato al mondo delle telecomunicazioni è stato organizzato secondo logiche di mercato» spiega Roberto Moriondo. E “gettare” un cavo in fibra ottica «costa tra i 30 e i 40 euro al metro – sottolinea Vittorio Vallero –. Più dai 50 ai 60 mila euro per cambiare l’apparato della centrale a cui il cavo arriva. Per poi avere magari solo 100 utenti adsl sui 500 numeri telefonici attivi del piccolo comune, a 20 euro al mese». I conti sono presto fatti. Partiamo dall’esempio di Vallero, ipotizzando una derivazione di cavo di tre chilometri: sono 105 mila euro circa per “gettare” il cavo, più 55 mila euro di centrale, per un totale di 160 mila euro. A fronte di un guadagno intorno ai 24 mila euro annui. Il che vuol dire un piano di rientro di circa 7 anni. Senza contare i costi di manutenzione. Operazione impossibile da realizzare in un contesto di libero mercato.
«Parliamoci chiaro – taglia corto Moriondo – o interviene il pubblico o il problema non era risolvibile. E noi con Wi Pie siamo intervenuti. Senza dare soldi agli operatori privati – operazione che avrebbe “turbato” il mercato – ma posando direttamente delle dorsali che in seguito abbiamo concesso agli operatori a prezzi calmierati». Perché, sottolinea il direttore, l’ente pubblico ha il dovere di mettere in rete realtà territoriali come ospedali, comuni o altri presidi del territorio».
«Fortunatamente non esiste solo la banda larga terrestre – spiega Vallero – ma grazie alla tecnologia si può portare il segnale attraverso impianti wireless o satellitari». E se delle 1150 centrali Telecom regionali sono appena 750 quelle in grado di ricevere e diffondere il digitale terrestre, in tutte le altre situazione si utilizzano impianti via etere. Soluzioni sicuramente meno stabili rispetto a quella terrestre, ma realizzabili grazie ai costi decisamente più contenuti. L’impianto wireless viene installato direttamente dall’operatore. E l’elenco dei fornitori si può consultare direttamente sul sito del progetto Wi Pie. «Per quanto riguarda gli impianti satellitari – conclude Vallero – ai quali ricorrono ad esempio i rifugi alpini, i costi sono intorno ai 4/500 euro». E sempre sul sito Wi Pie la Regione promuove un bando di finanziamento fino a 400 euro.
«Per le aree di grande sofferenza come quelle alpine del Piemonte – conclude il direttore Roberto Moriondo – vi è un pericolo generalizzato di nuovo digital divide. Perché con le attuali tecnologie entro il 2020 saremo in grado di portare anche 100 megabit nelle città ma difficilmente riusciremo a portare i 30 megabit indicati dall’Europa in montagna».
Maurizio Dematteis

Info: www.wi-pie.org