Se si facesse una valutazione sulla sostenibilità economica, sociale e ambientale degli alpeggi delle nostre montagne, occorre ammetterlo, la maggior parte di essi, allo stato attuale, non meriterebbe di essere mantenuto attivo.
Dal punto di vista economico, l’attività di alpeggio oggi sopravvive soprattutto grazie a un sistema di incentivi indispensabili per sostenere l’agricoltura di montagna, da decenni messa in ginocchio da scelte strategiche errate a vantaggio della pianura, ma che spesso hanno comportato delle autentiche degenerazioni. E se da un lato ci sono gli allevatori di pianura, che mirano più alla quantità che alla qualità, ai quali interessano più gli ettari di superficie disponibile che la qualità del pascolo, dall’altro non sono indenni da colpe le amministrazioni comunali – o i privati – proprietarie degli alpeggi e attente solamente ad incassare i proventi degli affitti.
Dal punto di vista sociale, l’attività di alpeggio delle nostre montagne sopravvive grazie alla presenza di personale extracomunitario, spesso sottopagato, costretto a vivere in condizioni al limite e oggi non più accettabili. Infatti, nonostante la crisi occupazionale è raro incontrare lavoranti italiani in un alpeggio. Anche dal punto di vista ambientale le cosiddette prestazioni eco-sistemiche sono spesso tutt’altro che dimostrate. Anzi, laddove non esistono piani di pascolo e rispetto per i carichi e la turnazione si ha anche un danno ambientale e paesaggistico non da poco. Un utilizzo non corretto può compromettere in maniera irreversibile prati e pascoli. Questo succede con una monticazione tardiva, con carichi eccessivi (alterazione della cotica e dissesto), con la mancata turnazione delle aree pascolabili (accumulo di deiezioni in certe zone e impoverimento di altre), con l’invasione di piante infestanti. Ci sono tuttavia margini di intervento per far sì che l’attività di alpeggio possa considerarsi sostenibile. E la sostenibilità economica è fortemente legata a quella ambientale e sociale. Per una buona gestione dei pascoli è fondamentale dotare di piani di pascolo tutti gli alpeggi e adottare capitolati d’alpe che prevedano tipo e modalità di pascolo (numero capi minimo/max, periodo di monticazione, tipo di pascolamento, azioni di miglioramento, ecc.) e prevedere la stipula del contratto di affitto a seguito di licitazione privata con l’esclusione di tutte le altre forme (aste) che, oltre a non garantire l’effettivo rispetto delle clausole prescritte dal capitolato, determinano ingiustificati aumenti dei prezzi di aggiudicazione. Tutto ciò dovrebbe diventare condizione base per l’accesso agli incentivi: non più un sistema legato soltanto a ettari e numero di capi, ma anche e soprattutto al tipo di attività e alle prestazioni (cosiddetto sistema di contributi diretti). Mandrie o greggi custoditi, numeri contenuti, in modo che anche le piccole aziende di montagna non vengano estromesse e la monticazione con un numero di capi contenuto possa essere redditizia.
Da parte dei comuni o dei proprietari ci vorrebbe la disponibilità a reinvestire migliorando le condizioni degli alpeggi (acqua potabile, elettrificazione, microcaseifici, recinzioni mobili, ecc.) e non limitarsi alla realizzazione della viabilità, o perlomeno limitarla a quegli alpeggi che possono garantire un futuro. A incentivare la pluriattività, compresa la caseificazione e la vendita diretta, creando i presupposti per piccole filiere produttive; promuovere, laddove siano necessari lavoratori stagionali, contratti a lungo termine in modo da legare le persone al territorio.
Anche attraverso la zootecnia e l’attività di alpeggio può arrivare nuova linfa al sistema montagna, ma per questo è necessario che lavorare in alpeggio torni a essere appetibile non solo per extracomunitari disperati.
Francesco Pastorelli, direttore Cipra Italia e Presidente Associazione Fondiaria Carnino