Da una lettura dei dati che descrivono le dinamiche territoriali delle Alpi degli ultimi dieci anni emergono aspetti tra loro contrastanti. Tuttavia un aspetto interessante emerge tra tutti: il fatto che vi siano degli evidenti segnali di controtendenza per molte aree rispetto alle serie storiche di lungo periodo precedenti e che, in definitiva, molte aree stiano divenendo attrattive rispetto al passato per la residenza e il lavoro.
Considerando le variazioni demografiche a livello di intero arco alpino transnazionale, contrariamente agli stereotipi comuni che si potrebbero considerare, sono circa due Comuni su tre quelli che aumentano la popolazione residente. In definitiva la popolazione alpina aumenta già da un po’ di tempo, sostanzialmente da un ventennio (come già illustrò il geografo Werner Batzing). Certamente potremmo considerare che molte di queste realtà sono caratterizzate da territori delle zone di bordo, dell’avampaese alpino, o di aree alpine poco interne (fatto che fa rientrare l’interpretazione di questo dato nei processi che descrivono i cambiamenti e le dinamiche delle grandi città metropolitane e di livello regionale) ma in realtà deve prevalere la considerazione che le tendenze negative di molti Comuni interni, perdurate in alcuni casi per più di un secolo, stanno cambiando segno. Dalla lettura dei dati quantitativi certamente non possiamo parlare di cambiamenti strutturali dal punto di vista territoriale, considerando le serie storiche di lungo periodo, tuttavia possiamo definire la presenza di una certa inversione di tendenza, diffusa soprattutto in alcuni territori. Se mostriamo ad esempio in una carta i territori che nelle serie storiche analizzate già dal geografo Werner Batzing sono state interessate da processi negativi per più di un secolo, vedremo che illuminando solo quei comuni che negli ultimi anni hanno cambiato segno dal punto di vista demografico compaiono un certo numero di casi.
Accanto a questo aspetto il principale elemento di contrasto, citato in apertura, è rappresentato proprio dal fatto che accanto a territori in cui vi sono segni positivi, molti rimangono caratterizzati dal segno negativo, anche se meno pronunciato rispetto al passato. Rimanendo al territorio alpino italiano è il 27% del totale il numero di Comuni che perde (o continua a perdere) popolazione, ma la cosa interessante è che in molti casi le realtà interessate da questo dato sono diverse rispetto al passato. Vi sono infatti aree specializzate nel settore secondario (ancora molto diffuso, soprattutto rispetto ai territori alpini di altri Paesi), o aree turistiche in declino, che quindi riducono attrattività rispetto al passato. Viceversa altre aree più interne si rendono interessanti agli occhi di alcune tipologie di persone, che, a breve o lungo raggio, si spostano come residenti. Potremmo descrivere questo aspetto considerando il rapporto degli iscritti nei Comuni alpini rispetto alla popolazione residente degli ultimi anni: si raggiungono dati medi del 10-15% rispetto alla popolazione residente, con un massimo del 27%. È vero che in alcuni casi i valori diventano alti a causa della scarsa popolosità di determinati Comuni, ma è altrettanto vero che, in questi casi, l’incidenza degli iscritti diventa localmente rilevante. Ancora più rilevante quando si tratta di nuovi arrivi di giovani, o di nuove famiglie: come indicatore è molto interessante considerare la presenza di nuove famiglie con figli in aree che per serie storiche di lungo periodo sono state disabitate o prive di giovani. In definitiva un altro segno in controtendenza.
Accanto a questo dato la lettura del rapporto immigrati/emigrati permette di evidenziare come le dinamiche migratorie a favore di nuovi iscritti interessi in modo diffuso tutte le aree alpine, comprese quelle più interne. Differenze strutturali sono riscontrabili tra ambiti geografici delle Alpi Occidentali e delle Alpi Orientali, in cui ad esempio le strutture demografiche dell’Alto Adige e del Trentino sono molto più giovani e con casi di perdita più contenuta di popolazione. Ma tuttavia i casi in controtendenza sono molti anche nelle Alpi Occidentali.
Un altro aspetto può intervenire a descrivere questi caratteri: la presenza di popolazione straniera. In primo luogo l’incidenza di popolazione straniera è per tutte le Alpi superiore all’incidenza della popolazione straniera sulle medie provinciali, regionali o nazionali, con punte del 20 o 26% per aree con forti specializzazioni economiche o la presenza di certi tipi di attività. Questi valori sono più ampi per le Alpi Orientali, rispetto alle Alpi Occidentali, in cui il dato è maggiormente concentrato in alcune valli. Tuttavia denota ulteriormente un certo livello di attrattività esercitato per le aree montane verso l’esterno, che non può essere ridotta (dalle analisi effettuate) esclusivamente alla presenza di bassi vincoli posti dalla residenza (monetari o di altro tipo) rispetto alle grandi città. Certo vi sono casi di nuove forme di pendolarismo verso città di pianura generato da questi fattori, ma nella maggior parte dei casi i territori si rendono attrattivi verso migrazioni di lungo raggio per l’offerta diretta di residenza e lavoro per determinati settori economici. Non sempre questi settori economici sono ad elevato contenuto di specializzazione, soprattutto nel settore minerario o industriale (in alcuni casi ancora attrattivi), ma in generale la presenza di forme diverse di immigrazione straniera sono da considerarsi molto più che interessanti, soprattutto in relazione all’evoluzione dell’imprenditorialità, alle dinamiche di trasformazione del tessuto socio-economico, o all’instaurarsi di occupazioni innovative.
Possiamo confermare, per concludere questa lettura di sintesi, che l’attrattività specifica di luoghi non sempre isolati, molto poco spesso marginali, si sta evolvendo (anche su questi aspetti potremmo citare dei dati, per cui si rimanda alle altre fonti), con una direzione che solo adeguate politiche e progetti territoriali come quelli analizzati dai casi studio del progetto Nuovi Montanari sapranno ben indirizzare e sviluppare per quei luoghi in cui l’inversione di tendenza è ancora debole o assente.
Alberto Di Gioia