Una delle figure centrali con cui raffrontarsi per chiunque decida di intraprendere un progetto di vita in montagna è quella del sindaco, spesso in grado di attrarre o allontanare la figura del “nuovo abitante”.
Ne sa qualcosa Nilo Durbiano, da dieci anni amministratore di Venaus, in Valle di Susa, sempre in bilico tra le vicende della Tav e gli sforzi per la promozione del suo territorio.
Signor sindaco, che cosa pensa del fenomeno dei nuovi abitanti?
«Per venire a vivere in montagna è necessario un approccio differente, soprattutto se si proviene da un ambito urbano e si ha un atteggiamento colonizzatore; l’arrivo di certe mentalità può rivelarsi più un danno che un beneficio per la montagna, soprattutto se si va ad intaccare la cultura della montagna che negli ultimi decenni si sta riaffermando con la propria dignità, già tangibile sia negli abitanti che in alcune amministrazioni».
A quale cultura della montagna si riferisce?
«In molti casi la montagna è vista come un parco giochi da vivere attraverso l’evento che, una volta terminato, non lascia nulla e premia i tempi, i modi e gli atteggiamenti del mondo metropolitano. In Valle di Susa possiamo fare l’esempio delle Olimpiadi che hanno rappresentato un importante momento di crescita e di comprensione di certi fenomeni: hanno promosso e fatto conoscere un territorio ma, al contempo, hanno fatto emergere dinamiche economiche e speculative estranee allo sviluppo della montagna».
Quale dovrebbe essere il corretto modo di operare in montagna?
«Molte amministrazioni lavorano per rivitalizzare la montagna ma bisogna distinguere la speculazione dall’investimento: bisogna valorizzare quello di cui si dispone e non importare stili di vita e culture di altre zone, soprattutto della metropoli; del resto il contesto in cui si agisce è differente: le strade in città sono rettilinee e in montagna si tratta con curve, tornanti e pendenze».
Tutto questo come si lega con il fenomeno dei nuovi abitanti?
«In molti casi in Valle di Susa i nuovi abitanti non hanno ancora assorbito la cultura della montagna. Mi ricordano per certi versi molte situazioni di immigrati che giungendo in terre nuove con poca cultura rispetto al contesto di arrivo e una scarsa conoscenza di quello che li aspetta, sono pesantemente penalizzati, ad iniziare dagli aspetti sociali».
La cultura urbana ha la meglio su quella della montagna?
«Il rapporto con la città deve essere di integrazione e non di contaminazione, altrimenti la montagna risulta perdente. Aggiungo che il processo di integrazione dei nuovi abitanti in un contesto montano è diverso da quello che può avvenire con un nuovo abitante della città: da noi l’integrazione sociale è un valore da conquistare in cui la solidarietà rimane un elemento cardine».
Tornando ai nuovi abitanti: quale importanza riveste nelle dinamiche locali il fenomeno?
«I nuovi abitanti della montagna sono fondamentali per evitare lo spopolamento e favorire il re insediamento ma non serve attrarre un flusso massiccio, è necessario selezionare chi sa comprendere come vivere in montagna; è inoltre importante capire quale contributo possono dare i nuovi abitanti in termini di crescita qualitativa sociale ed economica».
Come le amministrazioni possono agire per valorizzare il fenomeno dei nuovi abitanti?
«Bisogna partire da alcuni presupposti: innanzitutto capire che non sono le persone che devono viaggiare ma sono le idee. Poi puntare sulle reti utili per una visione strategica e operativa, anche grazie alla tecnologia, che permette oggi di fare cose inimmaginabili anche solo 15 anni fa. Solo così le amministrazioni possono attrarre nuovi abitanti, cogliendo le opportunità delle nuove tecnologie e offrendo in più una buona qualità di vita a iniziare dall’ambiente. Ad esempio con un buon servizio di banda larga si potrebbe intervenire sul fenomeno del pendolarismo, la cui diminuzione si tradurrebbe in una riduzione di costi economici ed energetici, miglioramenti nella qualità di vita ed effetti positivi per le economie locali e i costi sociali. In questo modo professioni legate alla ricerca o alla progettazione potrebbero essere svolte tranquillamente in un comune di montagna. Naturalmente accanto a queste attività legate all’uso delle tecnologie informatiche si affiancano tutte quelle di tipo tradizionale che hanno da sempre fatto vivere la montagna e che spesso oggi vengono rivisitate in modo creativo e riproposte con successo, dall’agricoltura all’artigianato».
Ma le attività e le aziende possono essere attratte dalla montagna?
«L’ambiente montano, anche solo in termini comunicativi, è sicuramente, per un’azienda che produce idee e vuole connotarsi per diversità, una peculiarità da sfruttare che in città va perdendosi. Certo dipende sempre dal modo in cui decidi di fare impresa: l’atteggiamento imprenditoriale dovrebbe essere volto al dialogo e alla partecipazione con il territorio basati sul modo di utilizzare le risorse. Invece alcune società, fortemente dipendenti dalla montagna, spesso il territorio proprio non lo considerano: è il caso dei gestori delle autostrade, che pur attraversando interamente la valle con le loro infrastrutture, impattano sul territorio senza garantire l’adeguata rappresentanza della montagna nei consigli di amministrazione».
E’ pronta la montagna a cogliere la sfida del cambiamento dettato dall’attuale crisi?
«La montagna è pronta a cogliere la sfida più ancora della città. La crisi economica in questo può esserci d’aiuto, si pensi alle possibilità offerte dalle nostre risorse naturali. Oggi possono essere valorizzate all’interno di nuovi modelli di sviluppo sostenibile per l’economia e per l’ambiente».
Erwin Durbiano