Pare che gli sci siano stati inventati intorno al 2000 a.C. Li hanno fatti dritti per 3998 anni aspettando che ne comprassimo tutti almeno un paio. Poi sono saltati fuori con il concetto di carving per costringerci a comprare l’ultimo modello.
Senz’altro gli sciatori (freerider e scialpinisti non si sentano esclusi) sono le vittime predilette di un ipotetico hi-tech e delle novità che li spingono ad attrezzarsi a immagine e somiglianza degli atleti del “circo bianco” e ad acquistare la più recente trovata della tecnologia che consenta loro di scivolare a valle con più facilità, aggressività o stile, solcando ogni tipo di neve, dalla farinosa alla ghiacciata.
Ho sentito un negoziante che proponeva al cliente un paio di sci dotati di uno speciale microchip che li fa adattare automaticamente alle condizioni della neve. Siamo in attesa del microchip che riconosce l’abilità dello sciatore e, soprattutto, di quello che ci avverte quando il commerciante ci prende per il naso. Nel frattempo, va detto che gli sci sono poco più di due assi in legno.
Ci sono poi i principianti vittime di se stessi e di un sistema che li spinge a richiedere sempre l’ultimo ritrovato anche quando è irrilevante ai fini dell’apprendimento delle più rudimentali tecniche di discesa. Ho visto un debuttante al noleggio sci chiedere espressamente un paio di bastoncini in carbonio. Per quel che si usano le bacchette alla prima lezione, anche due ramoscelli di larice sarebbero superflui.
Si giunge al tema dell’abbigliamento che sembra aver registrato una sorta di ritorno alle origini. Mia nonna è sempre andata in montagna con la canottiera di lana. Io l’ho dapprima sostituita, perché punge, con la maglietta di cotone che si impregna di sudore. Poi mi sono lasciato sedurre dalle sirene delle nanotecnologie applicate all’outdoor (microfibra, capilene, primaloft, ecc.): canotte e magliette, leggere e traspiranti, che dopo un paio d’ore puzzano in maniera insopportabile. Ora compro soltanto il cosiddetto “intimo a contatto con la pelle” in lana merinos che costa 50 € a capo. Capito perché in due generazioni siamo passati dal boom economico alla crisi?
Infine, come non citare l’arrampicata che è diventata una vera e propria moda, di quelle che ti rendono esclusivo tra i non adepti e membro di una tribù tra i praticanti. Il luogo di ritrovo più modaiolo per gli scalatori è senz’altro la palestra d’arrampicata che ormai contraddistingue il panorama di città, cittadine, paesi e paesotti. Queste strutture sono state in grado di attirare soprattutto una popolazione femminile, che in questo modo può spacciarsi per climber in pausa caffè con i colleghi, andare a scalare dopo il lavoro e uscire per cena in tacco 12.
L’elemento su cui si concentrano maggiormente le attenzioni di progettisti e, di conseguenza, dei consumatori, è la scarpetta che ti fa sentire come il tuo fuoriclasse preferito anche se le difficoltà su cui scali tu si superavano un tempo con gli scarponi chiodati. Infatti le scarpette da arrampicata nuove, con la suola di una mescola speciale, ti faranno male proprio come le vecchie: agli avambracci, però.
Simone Bobbio
ni!
cioè d’accordissimo che il popolo degli “sportivi stagionali”, soprattutto invernali, abbia un nutrita percentuale d’esibizionisti da vacanze natalizie. ma non riconscere che lo studio e lo sviluppo degli attrezzi ,abbia portanto indubbi vantaggi, mi sembra quasi masochistico.
cos’è oggi lo scialpinismo grazie ai nuovi modelli? cos’è oggi lo sci in neve fresca grazie agli sci piu’ larghi? l’escursionismo grazie alle ciaspole? vesibilità grazie ai windstop? impermiabilità senza goretex? …..ed anche i bastoncini non si rompono piu’ da quando sono in carbonio!
cordialmente
meccia
Sono d’accordo sul fatto che la moda abbia ormai contagiato anche lo sport, così come un “eccesso” di tecnologia non sempre necessaria.
Tuttavia non gradisco molto alcuni commenti del Sig. Bobbio, anche un poco maschilisti, come il seguente, che hanno ben poco a che fare con l’argomento.
Cito dall’articolo:
“Queste strutture (ndr: le palestre di arrampicata) sono state in grado di attirare soprattutto una popolazione femminile, che in questo modo può spacciarsi per climber in pausa caffè con i colleghi, andare a scalare dopo il lavoro e uscire per cena in tacco 12”.
Sono donna, arrampico. E non lo faccio certo per i motivi di cui sopra. Anzi, noto che le palestre di arrampicata siano ambienti non sempre favorevoli alle donne:
proprio per gli stereotipi che lo stesso Bobbio promuove, che fanno sì che una donna che arrampica sia vista solo come una persona che vuole mettersi in mostra (o, addirittura, che va in palestra per non ben chiari “secondi fini”…).
Concordo che lo sport è meglio farlo “in natura” (non in palestra) e con le attrezzature che sono realmente utili (non quelle che impone la moda).
Dopodichè, proprio per l’interesse del tema trattato, avrei gradito che i toni dell’articolo rimanessero un pò più “alti”.
Per rispondere ai commenti, non ho cercato di dare un quadro esaustivo di un argomento complesso e forse un po’ noioso come l’innovazione tecnologica in montagna. Ho preferito delinearne certi aspetti, un po’ comici e un po’ grotteschi, come la fissazione che molti appassionati di montagna hanno nei confronti dell’ultimo modello, della più recente scoperta tecnologica. Uno stereotipo, insomma, in tutto e per tutto simile a quelli che si osservano tra gli appassionati di vela, di pesca, di fotografia, di automobili e motociclette, di calcio e di bocce, di addominali scolpiti e di scarpe decolleté: feticismi che colpiscono indistintamente uomini e donne. Personalmente non adopero sci di legno né pelli di foca vera e non mi vesto con la giacca di lana cotta durante le mie gite in montagna. Non mi pare, inoltre, di esprimere un atteggiamento maschilista prendendo in giro le abitudini di certe arrampicatrici: so benissimo che anche molti uomini frequentano la palestra d’arrampicata per tirarsela e per gonfiare un po’ i muscoli. Non prendetemi/vi troppo sul serio!