A fine luglio la Regione Piemonte ha messo in consultazione una bozza del Documento Strategico Unitario (DSU) per la programmazione 2014-20, che dovrà entrare a far parte dell’Accordo di Partenariato tra l’Italia e l’Ue, in corso di redazione da parte del governo centrale. Tale accordo impegnerà le parti firmatarie e quindi anche le Regioni con i loro Programmi Operativi-POR. La proposta del DSU piemontese, che segue le linee indicate a fine 2012 dal ministro per la Coesione territoriale, è un documento molto articolato, redatto con competenza tecnica, per certi aspetti assai dettagliato, mentre per altri rimane a nostro avviso ancora troppo “sulle generali”, demandando a scelte discrezionali successive le definizione di elementi essenziali, come le priorità di intervento, che saranno definite dalla Giunta regionale. La nostra Associazione farà presente queste osservazioni nella sede opportuna, qui ci limitiamo a un primo commento.
Il documento è diviso i quattro parti. Nella prima si esaminano le potenzialità e i limiti della regione (società, economia, istituzioni, territorio) in relazione alle priorità di Europa 2020 (crescita intelligente, sostenibile, inclusiva), con una sintesi SWOT in fondo. Si tratta di una quindicina di pagine che dicono cose ineccepibili, ma espresse in termini troppo generici. Ci auguriamo che la Regione disponga di analisi più approfondite sulle realtà su cui far leva per realizzare gli obiettivi comunitari e quindi su dove e come conviene di più spendere i fondi comunitari. Servirebbe anche a questo scopo un’analisi critica sulla programmazione della tornata precedente (2007-13), che però non ci risulta sia ancora stata fatta, anche solo in forma parziale sui singoli POR. Questa analisi sarebbe importante per programmare i fondi in modo unitario e complementare, e per coinvolgere i soggetti idonei a sostenere i processi di sviluppo locale. Un’altra analisi che manca è quella delle inerzie e delle forze (economiche, sociali, clientelari, burocratiche, ecc.) da combattere se si vogliono realizzare gli obiettivi. Forse pretendiamo troppo da un documento ufficiale, ma tutti sanno che è inutile fare tante belle parole se non si ingaggia una dura battaglia contro questo genere di “nemici”. Per esempio – solo per restare in casa – a che serve parlare di programmi integrati e unitari, se poi ogni pezzo della Regione (assessorati, direzioni, singoli uffici) – nonostante la “cabina di regia” di cui si dirà dopo – continuerà a ragionare in termini puramente settoriali e autoreferanziali? Il documento sottolinea invece giustamente il capitale cognitivo, sociale e istituzionale accumulato in Piemonte nelle esperienze di programmazione dello sviluppo locale e fa presente la necessità di una cooperazione di area vasta (prevista dal nuovo PTR) per dare ad esse continuità, come di recente richiesto dall’Ue.
Nella seconda parte si delinea la strategia di sviluppo della Regione. Le parole-chiave sono: smart specialization (ancora indefinite), vantaggi competitivi, selezione innovativa, internazionalizzazione, crescita sostenibile, green economy, cleen economy, economia del gusto, industria culturale competitiva, occupazione, istruzione e formazione, inclusione sociale, sviluppo rurale, sviluppo locale integrato e partecipato (Leader, ecc.), cooperazione transfrontaliera. Anche qui cose su cui tutti saranno d’accordo, ma nessuna indicazione veramente strategica, che significa realismo, selettività e quindi non tenere aperte troppe aspettative per paura di scontentare qualcuno. Se no poi si dovrà cercare di accontentare un po’ tutti gli interessi particolari, in barba al proclamato “orientamento ai risultati” che dovrebbe caratterizzare la futura programmazione.
Quest’ultimo problema viene segnalato, ma certamente non risolto nelle ultime due brevi parti del documento dedicate a governance, strumenti finanziari e ipotesi di assegnazione delle risorse sui capitoli dei vari Fondi. Questioni cruciali come le priorità di intervento, i criteri e le modalità di selezione delle operazioni vengono demandate a decisioni politiche successive. Il coordinamento sarà su due livelli: una cabina di regia a livello di Giunta e un comitato tecnico affiancato da tavoli di lavoro interdirezionali e interistituzionali su tematiche trasversali. Una buona idea è quella di assicurare assistenza tecnica agli enti locali, a patto che non diventi, anche involontariamente, uno strumento dirigistico. Altra lodevole innovazione è il coinvolgimento nelle fasi progettuali, di realizzazione e di verifica, di un vasto partenariato istituzionale, economico, sociale e territoriale, secondo le linee indicate dal Codice di condotta della Commissione europea.
E la montagna? Se ne parla un po’ incidentalmente nei discorsi settoriali, sia per quanto riguarda le sue criticità (rischi naturali, servizi, digital divide, frammentazione amministrativa), sia per segnalarne le potenzialità (biodiversità, patrimonio naturale e culturale, energie rinnovabili ecc). Il discorso viene ripreso in termini territoriali e di approccio integrato allo sviluppo, con riferimento alla strategia nazionale per le aree interne e allo strumento del Community-led Local development raccomandato dalla Commissione europea. Il riferimento principale è ovviamente all’esperienza dei GAL e dei Leader, con un ragionevole discorso sulla difficoltà di attuare strategie del genere, dopo che la scomparsa delle Comunità Montane ha lasciato soltanto una grande frammentazione amministrativa.
Molti altri problemi andrebbero segnalati e approfonditi. Dislivelli cercherà di dare un suo contributo in sede di consultazione partenariale.
Beppe Dematteis