Le Alpi italiane soffrono da anni di un costante declino economico, demografico e politico, legato alla quasi totale scomparsa dell’agricoltura, dell’artigianato e dei mestieri legati alla montagna, sostituiti per alcuni decenni da industrie, oggi, in gran parte, o chiuse o in forte declino. Il turismo, che rappresenta una fonte di reddito diffuso solo in alcune aree, è geograficamente e stagionalmente molto squilibrato (troppo in alcune aree, praticamente inesistente in altre, concentrato comunque in poche settimane l’anno). La monocultura dello sci alpino ha portato alla realizzazione di infrastrutture sciistiche ed alberghiere che oggi sono in larga parte dell’anno inutilizzate. La diffusione delle seconde case (fino all’80% in alcune aree), alimentata anche da capitali di dubbia provenienza, ha dato il colpo di grazia all’economia di montagna, portando la rendita immobiliare e il prezzo delle abitazioni a livelli non sostenibili dalle popolazioni locali.
Questi problemi riguardano in modo diffuso la parte “sud” dell’arco alpino, con l’eccezione di alcune regioni/province a statuto speciale (Trento, Bolzano, Valle d’Aosta) che hanno tutelato e continuano a tutelare in vari modi l’economia di montagna.
A soffrire sono soprattutto i piccoli comuni, nei quali l’invecchiamento della popolazione porta ad una perdita costante dell’offerta dei servizi di base, che a sua volta scoraggia i giovani dal rimanere nei paesi di montagna.
La montagna italiana e lombarda soffre, a ragione, di un grave complesso di sfruttamento da parte delle città, aggravatosi negli ultimi decenni: le risorse della montagna (acqua, legname, territorio, tranquillità per rigenerare corpo e anima di chi vive in città) vengono utilizzate in larga parte per soddisfare i bisogni delle grandi metropoli o di chi vi abita, senza che vi sia un adeguato “ritorno” a favore della montagna. In altre parole, alle montagne non viene riconosciuto il giusto prezzo per i servizi ecosistemici (o esternalità positive) che queste offrono. E di conseguenza diminuisce l’offerta di servizi per la popolazione residente. La manutenzione del territorio (foreste, aree protette) va a beneficio della società intera (prevenzione dei rischi naturali, assorbimento emissioni climalteranti, ecc.) ma il relativo costo grava quasi esclusivamente sulla montagna. Gli effetti sui corsi d’acqua o sul paesaggio dovuti allo sfruttamento senza limiti dell’energia idroelettrica gravano sulla montagna e la sua popolazione. La stessa acqua del Po arriva a dipendere all’80% dai ghiacciai alpini, a loro volta in crisi.
Alcune raccomandazioni concrete a favore di una politica regionale per i territori di montagna della Lombardia sono state recentemente formulate a Sondrio da Marco Onida, il valoroso segretario generale della Convenzione delle Alpi. E sono: riproporre la montagna non come “periferia politica” ma come territorio strategico per lo sviluppo. Incentivare le nuove forme di insediamento produttivo su piccola scala (non grandi alberghi!), sia attraverso strumenti fiscali che attraverso investimenti infrastrutturali (ad esempio: banda larga, internet veloce) e di marketing territoriale (accesso dei prodotti di montagna ai mercati; a questo proposito, vanno sfruttate le potenzialità del nuovo regolamento europeo sulla qualità dei prodotti, il quale prevede la tutela del “prodotto di montagna”). Valorizzare l’agricoltura e i prodotti della montagna nell’ambito delle iniziative correlate a EXPO 2015. Valorizzare un turismo destagionalizzato, “soft” e legato alle vere risorse naturali e culturali della montagna (cicloturismo, trekking, centri benessere) puntando a un’apertura degli esercizi turistici non legata solo allo sci di massa.
Il primo punto enunciato da Marco Onida (non periferia ma territorio strategico) è fondamentale. Nella storia europea le Alpi non sono mai state periferia ma cuore, ponte, unione tra popolazioni e territori. Pensiamo all’epopea ed alla colonizzazione delle Alpi da parte dei Walser. Pensiamo agli stagionali che all’inizio del secolo dalla povera Franciacorta andavano a fare fieno in Engadina passando per l’Aprica. Pensiamo agli intraprendenti poveri svizzeri che venivano a creare piccole imprese tessili nelle valli bergamasche e bresciane. Decine di piccole imprese sono state, negli ultimi anni, costituite in Canton Ticino o nei territori austriaci limitrofi, da italiani, perché qui essi trovano un ambiente più proficuo all’imprenditoria (decisioni amministrative rapide, costo dell’energia decisamente minore, servizi pubblici ed infrastrutture migliori). La montagna non è periferia ma cuore, perché la sua funzione è essenziale per l’ambiente, il territorio, l’aria, l’acqua, la storia, i traffici, la cultura. Penso alla Vallecamonica con gli strepitosi graffiti (sito Unesco, di importanza mondiale, ma pochissimo visitato. Perché, se non per mancanza di spirito imprenditoriale?); con gli straordinari Romanino della Madonna della Neve di Pisogne e di Breno, con i Da Cemmo (Giovanni e Pietro) di Esine e dell’Annunziata, pittori che segnano un passaggio fondamentale tra il medioevo e l’incombente Rinascimento, con la Via Crucis del Simoni a Cerveno, la più importante opera lignea del ‘700 italiano, con villaggi museo come Bienno e Cerveno. E poco sopra i grandi comprensori sciistici di Ponte di Legno, Tonale, Adamello. Con queste risorse storico culturali e naturalistiche, la Valcamonica dovrebbe essere una meta obbligatoria per il turismo colto e sportivo di tutta Europa. Invece fatica. Perché? Perché manca di spirito imprenditoriale, di capacità programmatoria, di convinzione della propria centralità. Per decenni i camuni sono stati abituati ad essere mentalmente periferia e fanno fatica ad affrancarsi culturalmente da questo stato, anche se da qualche anno, finalmente, qualcosa si muove grazie al distretto culturale costituito con l’appoggio della Fondazione Cariplo.
Il secondo punto (insediamenti produttivi su piccola scala) ci porta al tema generale di una svolta culturale ed operativa fondamentale. Per qualche decennio siamo stati tutti convinti che solo con le grandi dimensioni si può fare buona economia. Le più recenti tecnologie e metodologie operative ci illustrano, invece, che non è vero. In visita ad una famiglia amica nel centro di Londra sono rimasto sorpreso nel vedermi servire il formaggio “Bagoss” , strepitoso formaggio prodotto su piccola scala, in alcune malghe a Bagolino (Val Sabbia), un formaggio che ho, talvolta, difficoltà a trovare a Brescia. Gli ospiti mi hanno spiegato che a Londra opera una società specialista in formaggi rari e preziosi che va a prenderli dove ci sono e li porta sulle tavole dei londinesi. Questo esempio può essere moltiplicato in tanti altri campi e territori.
Il terzo punto (approfittare dell’Expo 2015 per valorizzare i grandi doni alimentari della nostra montagna). D’accordo, ma con una proiezione e un impegno che vada ben oltre Expo 2015.
Il quarto punto è la valorizzazione non del turismo ma dei turismi, con un’opera di sapiente segmentazione, superando la monocultura dello sci. Quando ad Albertville, nel 1992, ci furono le olimpiadi invernali tutta l’Alta Savoia le prese, giustamente, come un’occasione utile. Ma contestualmente nel comprensorio di Beaufortaine, il più vicino ad Albertville e il più direttamente interessato, lanciarono lo slogan: non solo sci!. Volevano preservare e proseguire uno sviluppo articolato, che suonasse tutte le note della tastiera, perché già da vent’anni stavano lavorando in quella direzione. Ed oggi il Beaufortaine è una delle zone più equilibrate, più civili e più sviluppate dell’arco alpino. La sua storia, bene analizzata da Hugues de Varine, in “La Dynamique du Development Local. Le choix du Beaufortain” (Asdic, 2006), è esemplare. Quando nel 2005 i mondiali di sci furono assegnati a Bormio e all’Alta Valtellina, uno dei più influenti notabili di questa, un tempo, magnifica terra, lanciò lo slogan opposto: dobbiamo diventare come Rimini. Ed i mondiali di sci sono stati per l’Alta Valtellina più una sciagura che un vantaggio, salvo che per un pugno di persone che sono diventate ricche, grazie ai soldi in eccesso distribuiti e sperperati dalla Regione Lombardia, con danni incalcolabili al territorio e alla cultura civile locale.
Per realizzare positivi processi di sviluppo nelle nostre Alpi si devono, dunque, incrociare quattro fattori: innanzi tutto nelle popolazioni alpine deve crescere lo spirito imprenditoriale, alimentato dall’orgoglio e dalla consapevolezza della propria centralità ed importanza e dall’amore per la propria cultura ed identità. Bisogna sconfiggere la mentalità perdente ed assistenziale, e, per i progetti di sviluppo, attrarre ed assoldare non relitti della politica locale ma persone del massimo livello professionale. Lo spirito imprenditoriale locale, poi, deve essere concretamente sostenuto dalle banche locali se e dove ci sono; e dove non ci sono, o sono state fuse nei grandi gruppi, è un vero guaio, perché il ruolo delle banche locali per sostenere la spinta imprenditoriale locale è assolutamente decisivo. A livello di governo (sia centrale che regionale) bisogna battersi per far nascere nei “reggitori” la consapevolezza che lo sviluppo non si crea con le manovre a livello globale, ma nasce sul territorio, nelle città, nei paesi, nei villaggi, dove milioni di persone si danno da fare, ogni mattina, per migliorare il proprio stato; se dovesse continuare la cultura di governo, supercentralista ed affossatrice di ogni spirito vitale, che ha caratterizzato il disastroso governo Monti, non c’è scampo per la montagna italiana, come non c’è scampo per l’Italia tutta. Bisogna seguire ed inserirsi sempre di più nelle politiche europee per la montagna, oggi rappresentate soprattutto dalla Convenzione delle Alpi, perché è in questa sede che ci si confronta, si cresce insieme, si coprogetta, si impara, si collabora; mentre sinora l’Italia ha quasi ignorato la Convenzione delle Alpi e la Lega l’ha apertamente boicottata, per ragioni di bassa bottega.
Bisogna cambiare marcia e diventare protagonisti di questa utile istituzione europea.
Marco Vitale (Economista d’Impresa)
Buongiorno, ho letto con piacere l’ articolo di Marco Viatale, ho avuto il piacere di conoscere di persona anche Marco Onida della Convenzione delle Alpi, che ci ha premiati per un nostro progetto comunale che in qualche modo mi sento di pensare che possa essere un bell’ esempio di Fare Impresa in Montagna, o meglio, di dare l’ opportunita, soprattutto ai giovani, di provare a farla un’ impresa in montagna, soprattutto se si parla di un Comune, come il nostro, VEGLIO (biella), che da anni combatte contro lo spopolamento, ma che crede ancora in progetti innovativi che possano aiutare un piccolo paese di 550 abitanti in mezzo alle montagne biellesi.
Vi invito a visitare il sito web del nostro progetto che è:
http://WWW.VEGLIOCOWORKING.IT
Grazie.
Saluti.
Marco Pichetto
Sindaco di Veglio (Biella)
Buongiorno, concordo pienamente con il bell’articolo, anche perchè lo stiamo facendo nelle nostre montagne in Oltrepò.
Un cordiale saluto e buon lavoro
Ho una mezza intenzione di trasferirmi in Val Chisone, dopo questo articolo mi diventa un dovere, credevo “la lotta con l’Alpe utile come il lavoro nobile come l’arte” (vecchia tessera CAI) mi sbagliavo le Alpi vanno vissute.