Come avrete visto in questo numero del newsmagazine, l’imprenditoria alpina – soprattutto quella portata avanti dalle giovani generazioni – è tutt’altro che morta. Crisi dei modelli dei precedenti sviluppo, riscoperta della montagna e crescenti finanziamenti pubblici stanno riportando in auge economie e stili di vita che sembravano marginali.
In particolare, il numero crescente di bandi e finanziamenti per l’avvio di nuove attività imprenditoriali – sovente legate al mondo dell’agricoltura – hanno portato all’apertura di sempre più nuove strutture produttive di piccola scala. Una crescita per certi versi “drogata”, che si è ammantata spesso della retorica della riscoperta non solo “produttiva” della terra a favore di un più ampio recupero sociale e culturale dei luoghi che investiva.
Ma a questo moto innovativo di rigenerazione del territorio alpino si è accompagnato un parallelo sviluppo di architettura alpina di qualità?
Per quanto riguarda il territorio  italiano, francamente ci pare proprio di poter dire di no.
A parte infatti qualche raro esempio di recupero tradizionale di borgate e casolari, quasi mai il tema del rilancio imprenditoriale di un territorio ha saputo intrecciarsi con il rilancio architettonico.
Sarà per la forma culturale italiana – dove l’Architettura è termine che riguarda solo edifici storici di pregio, residenze di lusso, musei, e (qualche volta) grandi opere – sarà la modalità ampia e “a pioggia” di questi finanziamenti  –  dove la voce manufatti edili è solo una delle voci di spesa ammissibili dei bandi, di fianco a strumentazioni informatiche, attrezzature, ecc. –, ma la qualità finale degli edifici prodotti in queste occasioni è sconfortante, tanto più se si pensa che spesso sono inseriti in scenari di tutto rispetto.
Nell’ambito alpino italiano, la cura per l’architettura è apparsa finora limitata alle attività turistiche. Ma così come il turismo non può essere la sola forma di sostentamento delle Alpi, esso non può costituire il solo ambito in cui si presta attenzione all’esito .
Sarà banale ma ogni tanto guardare oltralpe può essere molto utile. Prendiamo ad esempio il caso del cantone svizzero dei Grigioni, un territorio che nel tempo ha saputo mantenere attiva un’economia legata ad allevamento e agricoltura nonostante il turismo. Un’economia a cui nel tempo si sono legate alcune figure di progettisti locali che hanno sviluppato un linguaggio architettonico del tutto originale, capace di intrecciare identità e savoir faire locali,  semplicità strutturale ricerca architettonica.
Anche solo restando su un settore specifico come quello della produzione di formaggio, non si faticano a trovare buoni esempi.
Di Gion Caminada abbiamo già parlato in alcuni articoli precedenti, ma non possiamo non ricordare il suo piccolo complesso di ricovero e caseificio caprino a Vrin, in Val Lumezia: un insieme di piccoli volumi in legno disposti lungo un versante in cui la novità sta tutta nella capacità di introdurre un nuovo modo di interpretare il blockbau.

Meno conosciuto ma altrettanto interessante su questo fronte è lo studio “Gujan+Pally”, autore di due interventi capaci di declinare in modo opposto lo stesso tema: il ricovero/caseificio  “Alp Stgegia” e quello “Puzzetta”, entrambi in Val Madel/Lucmagn. Due  interventi aventi medesimo programma funzionale, stessa scala e (per certi versi) impianto insediativo ma dagli esiti formali estremamente diversi. Il primo si basa sul recupero filologico di una vecchia borgata in pietra riconvertita a centro produttivo, il secondo invece è una nuova costruzione realizzata con materiali contemporanei – struttura in legno x-lam, rivestimento in lamiera verniciata – che tuttavia riprende lo stesso impianto “gradonato” sul pendio e le stesse volumetrie – piccoli cubi con tetti a due falde – dell’intervento precedente.

Certo, ci direte, in Svizzera hanno più soldi, più attenzione per il paesaggio, eccetera eccetera.
Tuttavia anche per l’Italia – visti pure l’attuale andamento del comparto edilizio e la sempre più preponderante necessità di finanziamenti pubblici per intraprendere nuove operazioni – le trasformazioni del patrimonio edilizio legate all’agricoltura stanno diventando sempre più un terreno fertile per l’architettura. Un terreno in cui, tra l’altro, si gioca il controllo e lo sviluppo del paesaggio. Lasciare questo campo privo di una riflessione sulla qualità dell’architettura può quindi risultare un atteggiamento miope oltreché, nel tempo, pericoloso.
Roberto Dini e Mattia Giusiano