Era il 5 giugno 2012 quando l’Uncem Piemonte lanciava il suo Bando di “Recupero e rivalutazione delle case e borgate montane del Piemonte”. Un’iniziativa unica in Italia, di sicuro nelle Alpi occidentali, che voleva sondare l’interesse di Comuni, Comunità montane, privati, imprese edili, progettisti e operatori immobiliari per un programma di rivitalizzazione economica e sociale delle aree marginali del Piemonte. Il progetto, che prende spunto dalla misura 322/2009 del PSR della Regione Piemonte, nasceva per aggirare la mancanza di fondi pubblici e individuare capitali privati per avviare operazioni di recupero nel rispetto delle regole architettoniche territoriali. E l’interesse è stato grande: perché in tre mesi (e all’Uncem tengono a specificare che erano i tre mesi di ferie per eccellenza) hanno risposto positivamente 500 soggetti.
Più o meno andava così. Il Sindaco del Comune “A” leggeva il Bando: pensava a quelle baite arroccate e minacciose – senza dubbio fuori da ogni tipo di decreto sulla sicurezza – che gli pesavano sulla coscienza tutte le sere, allora chiamava l’Uncem. Il titolare dell’impresa edile “B” leggeva il Bando: pensava ai suoi cinque dipendenti e al modo in cui farli sopravvivere in un momento storicamente poco fruttuoso, vedeva nella riqualificazione dei territori montani una nuova nicchia di sopravvivenza, allora chiamava l’Uncem. E l’Uncem altro non faceva se non raccogliere segnalazioni e telefonate e accoppiare i “disperati”. A quel punto interveniva il partner tecnico-archittetonico, lo Iam, che prendeva contatti con le imprese interessate e dettava le linee guida del recupero, creando un “marchio” per riconoscere e rendere riconoscibili le case ristrutturate all’interno del progetto. Infine quello stesso “marchio” verrà venduto agli operatori immobiliari che saranno in grado di offrire ai loro “clienti glocali” un prodotto unico. Più semplice di così si muore.

«Abbiamo chiesto ai Comuni – dichiara Marco Bussone, responsabile Uncem Piemonte del Bando – di segnalarci quelle situazioni dove ci sono una serie di condizioni di fattibilità. All’impresa presentiamo un ventaglio di alternative dove si può intervenire subito e proprio per questo motivo pensiamo che i primi lavori di recupero partiranno entro la fine del 2012». I comuni che finora hanno mandato una proposta concreta, segnalando una borgata in cui intervenire, sono una trentina. E sono 10 le imprese edili che hanno ufficializzato il loro impegno per un totale di 3 milioni di euro: la maggior parte provengono dalla zona del Torinese e del Cuneese, ma il bando ha risuonato fino al Sud dell’Italia.
Domandarsi il perché di così tanto interesse è più che sensato. Secondo Bussone la misura dell’Uncem è approdata in un contesto economico e sociale favorevole: «Il ragionamento che si è fatto negli ultimi due anni in Italia sul blocco del consumo del territorio ha agevolato le misure come la nostra, cioè il recupero dell’esistente». Una sensibilità non solo delle valli alpine del Nordovest, ma che al MadeExpo di Milano, dedicato a “Borghi&Centri storici” d’Italia, ha visto emergere iniziative simili parallele anche nel resto della penisola – prima fra tutti la Regione Toscana – che fanno pensare a una generale crescente attenzione verso processi di questo tipo.

Terminata la prima fase di raccolta di adesioni toccherà all’Uncem il compito di facilitare l’incontro/scontro di esigenze differenti, partendo dalle richieste concrete degli attori coinvolti per promuoverle anche a livello pubblico. Si tratta innanzitutto di ottenere forme di agevolazione dalle banche, chiamate a proporre un pacchetto finanziario ad hoc per la riattivazione dell’edilizia locale; in secondo luogo diventa importante individuare una serie di sgravi burocratici/amministrativi che consentano maggiore flessibilità nei recuperi ad alta quota: «Oggi hai le stesse regole per una ristrutturazione in corso Vittorio e per una a Balme oppure a Ostana: bisogna individuare delle norme specifiche per il territorio montano», spiega Bussone.
Parallelamente agli aspetti tecnici/architettonici vanno effettuate anche altre valutazioni, più strettamente connesse alla rivitalizzazione sociale e culturale delle aree marginali. Per questo è stata avviata una mappatura dei nuovi mestieri che la montagna offre, vettore di quei reinsediamenti connessi al recupero del patrimonio edilizio dimenticato: dall’agricoltura all’allevamento, dalla ricettività turistica alla produzione di eccellenze enogastronomiche; possibilità queste presentate al Salone torinese IoLavoro negli scorsi giorni. «L’intenzione del Bando – conclude Bussone – non è quella di creare seconde case: di quelle ce ne sono fin troppe e si fa fatica a piazzarle»: da qui la collaborazione con i Gruppi di azione locale delle Comunità montane che, partecipando ai Bandi comunitari e non, gestiscono le risorse per lo sviluppo di nuove attività lavorative nei territori montani.
Daria Rabbia