Giungendo dal Passo della Biscia e passando per i paesini di Scurtabò e Càssego, sulle distese dai dolci declivi collinari, in alta Val di Vara, saltano subito all’occhio le fioriture sulle ampie fasce dei prati ben curati, le piccole coltivazioni, gli orti, i frutteti e gli ultimi arditi pascoli che forniscono il latte alla cooperativa di Varese Ligure per la produzione dei formaggi.
La mancata costruzione della strada ferrata lungo il fiume Vara, un progetto che nei primi decenni del ‘900 avrebbe dovuto collegare questi luoghi allo Spezzino, ha salvato per un pelo la sorte di questa valle dalla eccessiva antropizzazione e dalla conseguente cementificazione.
Proprio qui una famiglia di vecchie tradizioni contadine e marinare, cogliendo la bellezza di questi luoghi, porta avanti il suo podere agricolo, trasformato in agriturismo. E dopo circa dieci anni di lavoro, i cinque membri della famiglia, madre, padre, figlia, genero, nipotino e nonna, abituati a faticare, pur sapendo quanto fosse impopolare e in contro tendenza la loro scelta, provano sulla propria pelle il significato del vuoto istituzionale, della mancanza di rete e di collaborazione fra i comuni limitrofi. Un vuoto che non favorisce la promozione e distribuzione dei loro prodotti biologici, e che li obbliga a dover superare le barriere imposte dalla grande distribuzione dei supermercati, staccandosi periodicamente dalla proprietà per essere presenti nei mercatini e nei pochi spazi concessi dai comuni alle piccole imprese agricole. Gli animali da governare, i frutteti e gli orti da curare, la produzione e l’estensione del podere agricolo sono tali da non poter essere condotte da sole quattro persone, specie se, per ragioni di bilancio, sono obbligate ad allontanarsi dal podere due o tre volte la settimana per vendere i lor prodotti.
La potenziale vocazione turistica di questi luoghi troverebbe ottimi riscontri se le amministrazioni locali comprendessero che promuovere attività di questo tipo sul territorio significa promuovere la propria area geografica, mettendo a disposizione dei visitatori prodotti locali di elevata qualità, ospitalità in contesti naturali e la diffusione e conoscenza di antiche tradizioni artigianali nelle procedure di produzioni agricole e casearie. Fare rete significa accorciare la filiera. Ci troviamo contestualmente di fronte a due generazioni che sperimentano insieme le differenze della vita contadina di ieri con quella di oggi. Mentre una procede verso il tramonto, l’altra prosegue il percorso con tutta la speranza proiettata nella dignità del suo lavoro. Le famiglie non sono più numerose come una volta. E per questa famiglia in specifico, dover assumere mano d’opera per avere un aiuto sarebbe una follia dai costi insostenibili. Mentre i 20 ettari da gestire sono davvero troppi per le loro sole forze. E allora che fare? Come muoversi tra il desiderio di restare e la necessità di dover cedere la proprietà? Cedere la proprietà con l’amara sensazione di gettare via qualcosa che una volta venduta non tornerà mai più. Magari a qualcuno che cambierà la destinazione d’uso dei terreni.
Certo la strada migliore per questa famiglia sarebbe trovare qualcuno che volesse continuare l’avventura su queste terre. E si tratterebbe di un “passaggio del testimone” che andrebbe a valorizzare l’onesto lavoro di anni.
Massimo Gambino