Per chi si occupa di marketing, il valore di un’azienda si misura sulla base di una sintesi fra elementi materiali, come la struttura produttiva, il prodotto stesso con le sue tecnologie ed elementi immateriali quali lo stile, l’immagine e i comportamenti dell’azienda sul mercato. Tutto questo si riassume nel termine “personalità” e va da sé che per stare sul mercato da protagonisti, specie nei momenti di crisi, serve una “forte personalità” unita a una solida reputazione. Ovvio, verrebbe da dire. Forse no. Perché se nei momenti di crescita economica le imprese tendono a concentrarsi prevalentemente sulle logiche del profitto, a volte perdendo di vista i fattori etici che concorrono a formare la “brand reputation”, il contesto di crisi che si è venuto delineando nel corso degli ultimi anni sta portando alla luce la tendenza, sia da parte dei grandi gruppi che da parte delle piccole e virtuose realtà imprenditoriali tipiche della nostra realtà economica, a una maggiore attenzione e cura verso il tessuto sociale in cui si opera. E allora si capisce che qualcosa di nuovo forse si sta manifestando, in particolare nell’atteggiamento del cosiddetto consumatore, che sembra smettere i panni del soggetto passivo, interamente concentrato sui consumi, disposto ad assorbire con disinvoltura ogni tipo di proposta, per vestire l’abito dell’“utilizzatore consapevole”, disposto a dare fiducia solo in cambio di valore reale, di certezza e di un comprovato impegno etico sociale dell’impresa. Così a un prodotto alimentare non si chiede più solo di soddisfare il bisogno edonistico della squisitezza: si chiede un reale valore alimentare e salutistico; così al prodotto outdoor non si chiede solo di avere un aspetto tecnico accattivante ed evocativo della performance: si chiede affidabilità e un effettivo valore funzionale. Così alle imprese, di ogni categoria merceologica e di ogni dimensione, non si chiede più di essere delle semplici fonti produttive, impegnate a trasferire sul mercato le proprie merci: si chiede di essere un soggetto etico, responsabile delle proprie azioni, trasparente nell’informazione e, possibilmente, disposto a scegliersi una causa sociale coerente con la propria missione. Una causa da portare avanti attraverso progetti concreti.
La storia recente ci ha insegnato le conseguenza della trascuratezza verso l’etica del mercato e la responsabilità delle grandi imprese (finanziarie in particolare) nei confronti della società; il presente, con tutte le sue contraddizioni, apre tuttavia nuovi spazi di riflessione e una speranza: che la dinamica dei consumi possa essere rielaborata partendo dal principio della loro effettiva sostenibilità e che questo principio operi sulla base di un sistema di valori condiviso fra imprese e utilizzatori dei prodotti, finalmente emancipati dalla vecchia e miope condizione di semplici consumatori.
L’auspicio diventa quindi più che verso una “ripresa”, verso una “rinascita”.
Vittorio Forato